Chiostro
Il
chiostro, sempre quadrangolare, è il punto di riferimento di tutto il
complesso monastico. Organizzato secondo un’idea distributiva è misura dei
singoli locali che formano un compatto nucleo di edifici rettilinei
disposti ai quattro lati. È considerato il cuore del monastero perché è il
centro della vita dei monaci così come lo è della sistemazione urbanistica.
Lo sviluppo del monachesimo benedettino romano, agli
inizi del IX secolo, sotto l’influsso dell’imperatore Carlomagno e di san
Benedetto d’Aniano, impone in tutto l’occidente una concreta
interpretazione del monachesimo cristiano fino alla concezione di un
modello architettonico ben determinato.
Il monastero è concepito come un edificio in cui “i
monaci militano sotto una regola e sotto un abate”. Dalla Regola di san
Benedetto, però, risulta evidente più la preoccupazione dell’organizzazione
interna della comunità che della disposizione e della struttura degli
edifici. «Il monastero si costruisca, possibilmente, in modo da potervi
trovare tutto il necessario, cioè l’acqua, il mulino, l’orto e gli ambienti
per le varie attività così che i monaci non debbano girovagare fuori, cosa
che non recherebbe alcun vantaggio alle loro anime».
Attorno a questi principi spirituali e disciplinari si
viene delineando e concretizzando la struttura del monastero benedettino.
Bisogna, però, attendere l’epoca carolingia, quando i monasteri
benedettini, diventano l’elemento portante della riorganizzazione civile e
del risveglio culturale, per trovare i primi esempi concreti: Saint Riquer,
San Gallo, Fontenelle.
Per
quanto riguarda il modello storico, l’edilizia monastica sembra ispirarsi,
nella struttura fondamentale, alla villa romana, soprattutto nel chiostro
che riprende il peristilio nell’intento di raggruppare e di collegare le
parti in una costruzione funzionale ed armonica.
Sotto l’influsso della riforma cluniacense si verifica
un risveglio febbrile di attività costruttive che si manifesta sia nella
fondazione di nuovi monasteri sia nell’adattamento e nell’ampliamento di
strutture esistenti sempre secondo lo schema dell’ordinata articolazione
degli edifici attorno al chiostro. L’esame di un notevole numero di
monasteri sorti in questo periodo in Europa testimonia che l’impianto di
Cluny, quale modello organizzativo, è divenuto vincolante.
Il chiostro rappresenta a tal punto l’universo fisico e
spirituale del monaco che il derivato claustrale non solo diviene
l’aggettivo qualificativo per eccellenza della vita monastica, ma
addirittura, usato in modo sostantivato, è termine sostitutivo di monaco:
il claustrale, la claustrale.
Dal chiostro si accede a tutti gli altri ambienti:
all’oratorio, alla sala capitolare, al refettorio, ai dormitori,
all’infermeria, alla biblioteca. Nel chiostro i monaci si riuniscono prima
e dopo i lavori, passeggiano, leggono, fanno le processioni nei giorni di
maggiore solennità, si ritrovano alla fine della giornata per ascoltare la
lettura spirituale. Per questo motivo il chiostro è carico di una forte
valenza teologica, morale, spirituale e mistica.
È il luogo dell’incontro dell’uomo con Dio creatore e
redentore, è la scuola della dilezione dove il monaco fa esperienza
dell’amore fino, nella sublimità, all’unione mistica, all’incontro nuziale
dell’anima con Cristo.
Il chiostro è il luogo del silenzio in quanto non
semplice norma disciplinare, negazione di una delle più nobili dimensioni
umane qual’è la comunicazione interpersonale, ma come disposizione e
condizione indispensabile al dialogo coli Dio.
Nel silenzio della contemplazione l’anima si ripiega su
sé medesima, riposa libera e, riparata dai pensieri mondani e materiali,
medita sui beni spirituali.
Il chiostro emana una forte carica evocativa e simbolica
secondo le ricorrenze e i tempi liturgici, secondo gli stati emotivi
personali, secondo il progresso spirituale dei singoli: le gallerie, i
colonnati, il giardino interno, l’acqua, gli alberi.
La struttura stessa del chiostro, la forma
obbligatoriamente quadrangolare è legata al significato simbolico del
numero quattro che, nella cultura antica, è il numero che esprime
l’universo: la terra che poggia su quattro colonne, i quattro elementi
dell’universo, i quattro punti cardinali, i quattro venti, le quattro
stagioni. Le quattro gallerie, da quella ad ovest a quella a sud, indicano
e riproducono umano ed
il pellegrinaggio spirituale del monaco verso l’amore perfetto di
Dio, e rispettiva mente,
il disprezzo di sé, il disprezzo del mondo, l’amore del prossimo e l’amore
di Dio. Ogni lato ha la sua fila di colonne; alla base di Tutte vi è la
pazienza. Il giardino interno riproduce e riecheggia, in piccolo, la
varietà, la bellezza e l’armonia del cosmo, in cui i quattro
elementi sono non solo rappresentati ma riprodotti: la terra che vi è
coltivata, l’acqua che vi sgorga, l’aria in cui è avvolto, la luce da cui è
inondato. È un perfetto osservatorio dei tempi e delle stagioni, delle
costellazioni e delle fasi lunari.
Il simbolismo ripercorre e lega, con forte accentuazione
antropologica, la storia dell’universo e dell’umanità, dalla promessa alla
realizzazione, dal giardino dell’Eden al giardino di Pasqua, da Adamo,
creato ad immagine e somiglianza di Dio, a Cristo, figlio di Dio,
nuovo Adamo, vero albero della vita, piantato al centro del
paradiso, vera acqua che dal fonte battesimale zampilla per la vita
eterna. In questo senso si può parlare del chiostro come paradiso
claustrale e, più precisamente, come paradiso intermedio, come luogo dì
passaggio dal paradiso perduto di Adamo, al paradiso ritrovato in Cristo.
Il
giardino evoca la freschezza, la purezza e la perfezione dell’opera appena
uscita dalle mani di Dio, la luminosità e la grazia della presenza di Dio
che “trova sua delizia lo stare con i figli dell’uomo”. I capitelli, i
peducci riproducono, in dovizia, le forme vegetali ed animali che
l’immaginario medioevale attribuisce all’Eden dell’inizio.
Ad immagine del macrocosmo, uscito fresco e palpitante
di vita dal caos primordiale, il microcosmo claustrale traspira bellezza ed
armonia: costruito con sapienza divina secondo peso, numero e misura è la
più alta realizzazione estetica, espressione e riflesso di una bellezza che
non si spiega ma che si contempla, aspirazione alla visione di Dio
coinvolgente più e meglio di qualsiasi argomentazione metafisica ed
intellettuale. Il giardino del chiostro è, in genere, quadripartito;
scandisce le tappe della spiritualità monastica attraverso quattro tempi:
il giardino dell’Eden, il giardino del Cantico dei Cantici, il giardino
degli Ulivi, il giardino di Pasqua.
Addossato
al lato meridionale della chiesa, fatto costruire come attestano due
lapidi, tra il 1252 e il 1257, de suis propriis dal priore
Bonaccorso de Canova da Gravedona, il chiostro di Piona rappresenta uno
degli esempi più suggestivi dell’architettura romanico-lombarda. Di forma
quadrangolare, progettato su un terreno fortemente in pendenza, si
sviluppa, secondo i dati di misurazione rilevati dal Marcora, su una
concezione di totale asimmetria e si articola in quattro gallerie ineguali
per lunghezza, per larghezza, per altezza e per planimetria.
L’accorgimento, da un punto di vista estetico, dona dinamismo e movimento
armonico alla struttura.
La costruzione è serrata agli spigoli da quattro
massicci pilastri, cui si appoggiano, con andatura di danza, gli archi a
tutto sesto, leggermente ribassati, la cui curvatura ritmica viene
finemente ripetuta e sottolineata da una ghiera sottile ed elegante in
mattoni rossi.
Gli archi si slanciano su colonne impostate su basamenti
a largo toro, con unghiature protezionali agli spigoli, e coronate da folti
capitelli a crochet, fortemente marcati, con frutti pendenti, a foglie
spiegate o chiuse, a fiori sbocciati.
Sugli abachi è posizionata, quale elemento di appoggio
agli archivolti, una pietra poligonale, segnata da una profonda scozia che
raccorda il piallo dei capitelli a quelli dei muri interni ed esterni,
sensibilmente pronunciati.
I capitelli offrono la tradizionale varietà di soggetti
cara al romanico, spesso ricca di significati simbolici: foglie, volute,
teste e corpi animali, mostri, testine umane. I temi sono trattati con uno
spiccato gusto per i volumi netti, segnati con precisione e morbidezza
secondo una precisa partizione spaziale. Le figure emergono prepotentemente
offrendo un gioco di luce e di ombre larghe e marcate.
In quello di Piona, oltre agli elementi caratteristici
comuni a tutti gli altri chiostri monastici, ve ne sono dei particolari e
specifici, fortemente allusivi. Già il numero stesso delle colonne per ogni
lato può essere letto in modo simbolico: le 11 colonne del lato ovest
simboleggiano il collegio degli apostoli dopo la defezione di Giuda
Iscariota, le 10 del lato nord i comandamenti, le 12 del lato est le tribù
d’Israele, le 8 del lato sud la risurrezione di Cristo. Nella galleria del
lato nord, quella che affianca la parte muraria della chiesa, su di un
abaco e su alcuni capitelli sono scolpiti serpentelli con il volto di
donna. Sono elementi interessanti in relazione all’ambiente: camminando,
meditando e leggendo nella galleria del disprezzo del mondo il
monaco viene ammonito ed esortato a non farsi sedurre, a non farsi tirar
fuori, come, purtroppo, era accaduto ad Adamo nel giardino dell’Eden, dalle
tentazioni e dalle seduzioni del serpente e della donna, ma a tenere il
cuore fermo in Cristo, a camminare con la Chiesa.
Nel
lato est, su di un capitello di fronte all’ingresso del capitolo, è
scolpito il volto severo di un uomo che può essere considerato il simbolo
dell’autorità, responsabile dell’ordine e dell’armonia comunitaria.
Nel lato sud, nella galleria dell’amore di Dio,
è, senza dubbio, interessante il quinto capitello, nella direzione est-sud,
su cui è raffigurata con forte evocazione simbolica, la descrizione del
diluvio universale narrato dalla Bibbia in Gen. 7-8: sul lato est le acque
hanno già sommerso tutta la terra, sul lato interno, a sud, le acque sono
sorvolate dal corvo che non trova dove posarsi, sul lato ovest le acque
sono sorvolate dalla colomba che reca nel becco un ramoscello d’ulivo,
verso il giardino è scolpito un albero, verosimilmente una palma, segno
della fine del diluvio e pegno di pace di Dio con l’umanità.
In
tutte e quattro le gallerie sono presenti molte aquile e, con più
precisione, otto scolpite sugli abachi e quattro gruppi di aquile, di
quattro aquile ciascuno, su quattro capitelli. L’aquila, ritenuta capace,
dalla cultura medioevale, di fissare direttamente il sole e che,
nell’imminenza della morte, spicca il volo verso l’alto, rappresenta, nella
simbologia del tempo, il monaco che, nella vita del chiostro, contempla
incessantemente il volto di Dio ed è proteso all’incontro definitivo con il
Signore.
La critica, seppur non in modo unanime, riconosce
un’ascendenza borgognona al linguaggio figurativo dei capitelli, anche se
da una certa rigidezza nell’interpretazione delle superfici lisce suppone
una forte e radicata rappresentanza di lapicidi locali.
Sui lati ad est, a sud e ad ovest si innalza il
fabbricato, ricostruito e ristrutturato, in cui sono disposte le celle dei
monaci, e una sala per le riunioni della comunità monastica.
Una serie di bifore e di finestroni, secondo i lati, che
giocano sulla simmetrica alternanza del bianco e del grigio, danno aria e
luce agli ambienti.
L’opera muraria, dalle ghiere delle bifore delle
gallerie fino agli spioventi del tetto, è geometricamente ripartita, oltre
che da un elegante cornicino bianco marcapiano, da listoni orizzontali, di
diverso materiale e di diverso colore secondo i lati, che donano vivacità e
brio alla massa.
Gli affreschi del chiostro
Un’attenzione particolare meritano gli affreschi del
chiostro. Subito all’ingresso, nella parete dell’andito, una scena,
ampiamente mutila nella parte in basso, databile, secondo i critici, ai
secoli XV-XVI, raffigura l’apparizione di Cristo a Maria di Magdala.
L’affresco è stato sovrapposto ad un altro più antico di cui rimangono un
fregio e due lettere in giallo-oro sormontate da corone regali.
Il
risorto, circonfuso di luce, sorregge con la sinistra un’asta su cui
sventola, gonfiata dal vento, la bandiera della vittoria con la dicitura:
Lux et vita sum.
Un cartiglio si srotola dalla spalla sinistra del Cristo
verso la figura posta di fronte con l’ammonizione alla Maddalena: Noli
me tangere. La scena è riquadrata in uno sfondo rosso mattone.
Nell’angolo in alto sopra la cornice, a sinistra di chi guarda, lo scudo
con l’aquila dovrebbe essere lo stemma del committente non ancora
identificato.
Particolarmente interessanti ci sembrano i dipinti
murali eseguiti, nella galleria a nord, sulla parete della fiancata esterna
destra della chiesa. Essi si snodano dentro una fascia decorativa lunga m.
16,60 ed alta m. 1.40, ad un’altezza dal pavimento di m. 1.70 ca. La fascia
si presenta attualmente molto frammentaria; mancano completamente la prima
parte, quella centrale e
quella terminale. Sono conservati solamente due grandi frammenti
della lunghezza di in. 4 e di m. 4.50 ca.
La fascia è divisa longitudinalmente in due registri: in
quello inferiore sono raffigurati santi entro spaziature rettangolari
alternate a specchiature in finto marmo e a decorazione geometrica, in
quello superiore i mesi dell’anno alternati a rettangoli con decorazione
geometrica. Il settore superiore è suddiviso in riquadri da fasce rosse,
quello inferiore da fasce gialle. Fra i due settori corre una fascia di cm.
10 con un motivo a fisarmonica di cui è conservato il colore dì una sola
faccia su quattro. Nel registro inferiore, nella direzione da ovest ad est,
nei frammenti del primo riquadro è individuabile un cavallo e, a lato, un
personaggio non meglio specificabile.
Nel
secondo emerge un san Giovanni Battista in una iconografia singolare: un
personaggio decollato tiene in mano la propria testa e la porge ad un altro
con l’aureola, che potrebbe essere il medesimo santo, che regge con una
mano un libro e con l’altra l’agnello mistico racchiuso in un cerchio. Nel
terzo è raffigurata santa Margherita che, tenendo in alto la croce, libera
la fanciulla che il drago tiene stretta nelle fauci. Nel quarto, conservato
solo a metà, san Lorenzo è posto sulla graticola con il fuoco acceso e con,
allo spigolo in alto, il carnefice che armeggia con una forca. Nel quinto è
rappresentato il martirio di santa Caterina d’Alessandria legata alla
ruota, con il carnefice da un lato e con i genitori dall’altro. Viene poi
un santo non meglio identificabile disteso su di un palo con il carnefice
intento a sistemarne una gamba. Nell’ultimo riquadro si intravedono
solamente i frammenti di una testa e di una grande ala. I riquadri con
santa Margherita, con san Lorenzo e con santa Caterina, quelli dei martiri,
sono sovrastati dalla mano di Dio benedicente. Nel registro superiore il
calendario dei mesi è caratterizzato dai lavori stagionali: sempre nella
direzione ovest-est il mese di agosto dalla preparazione delle botti, il
mese di luglio dalla battitura delle spighe, il mese di giugno dalla
mietitura del grano, il mese d’aprile dalla figura femminile che stringe
tra le mani due mazzi di fiori, il mese di marzo dalla figura maschile con
tre facce che soffia in due corni, il mese dì febbraio dalla potatura degli
alberi, il mese di gennaio dalla lavorazione del maiale.
Le parti figurative del registro superiore coincidono
con quelle decorative del registro inferiore e viceversa. I motivi
decorativi del registro superiore sono costituiti da rettangoli in cui lo
spazio interno è diviso in 24 quadrati, ognuno dei quali contiene due
semicerchi di colori diversi su un fondo rosso con due piccoli fiori
bianchi. Questo tipo di rettangolo è alternato con un altro in cui nella
decorazione vengono inseriti dei quadrati che contengono un fiore
stilizzato.
I motivi decorativi del registro inferiore sono formati
da due tipi di specchiature in finto marmo – una bianca con contorno rosso,
l’altra rosa con un contorno rosso cupo – e da un rettangolo con motivi ad
onde in diagonale rosse e grigio-azzurre con fiorellini bianchi. “Questi
affreschi dovevano stare sulla parte esterna della chiesa: sono di un
secolo antecedente la costruzione del portico. Lo stile è semplice e
decorativo nell’essenziale personificazione della scena senza sfondi. Vi è,
soprattutto nelle immagini simboliche del calendario, una vitalità
spontanea delle figure non ambientate ma conducenti l’azione da sé sole e
richiamanti le coeve miniature lombarde Anche nel nostro calendario, almeno
per quello che riguarda i mesi, il tono è dimesso, di maniera non colta,
popolare ma non volgare.
Le
figurazioni dei mesi sono ormai sciolte da clause ritmiche, dall’equilibrio
classicheggiante né sono improntate alle inflessioni bizantine: è un
discorso semplice senza complicazioni di simbologie né di stimoli di
filosofie, ma un richiamo chiaro a quanto si compie ogni giorno ad utilità
propria e degli altri” (C. Marcora). Nella medesima galleria, sulla porta
posticcia che dal chiostro immette nella chiesa, c’è un affresco, in gran
parte mutilo, della figura del Redentore, di attribuzione incerta, che è
stato sottoposto ad un restauro maldestro. Nella parete della galleria
orientale, vicino all’ingresso della sala capitolare, resta ben visibile lo
stemma dell’abbazia di Cluny, casa-madre di Piona. Nella galleria sud del
chiostro è affrescata la scena di san Benedetto che respinge la tentazione,
così narrata da san Gregorio Magno nel Secondo Libro dei Dialoghi: «Alla
sua fantasia lo spirito maligno ricondusse l’immagine di una donna, che
aveva conosciuto anni prima. Toltosi le vesti, si gettò nudo tra i rovi e
le ortiche e con le ferite del corpo guarì quelle dello spirito».
“La vivacità dei colori, lo stile, il costume della
donna ci portano in pieno Trecento. Viene il sospetto che forse tutto il
portico fu a quell’epoca affrescato con raffigurazioni di episodi
riferentesi alla vita del patriarca dei monaci d’occidente” (C. Marcora).
La costruzione del chiostro nel monastero è stata
ripresa dal portico di Salomone, eretto attiguo al tempio. In esso gli
apostoli tutti erano soliti radunarsi in armonia di sentimenti e da qui si
raccoglievano nel tempio per la preghiera; e la moltitudine dei credenti
era un cuor solo ed un’anima sola; essi mettevano tutto in comune
(Atti, 4). Secondo questo modello i religiosi vivono nel chiostro in
concordia di spirito e, sia di notte che di giorno, nel monastero sono
impegnati nel servizio divino. E ancor oggi i fedeli abbandonano il mondo e
perseguono nel chiostro la vita in comune.
Il chiostro è, inoltre, figura del paradiso terrestre
(Gen. 4) che configura il monastero come un luogo di paradiso più ameno
dell’Eden: quella che nell’Eden era la fonte delle delizie, nel
monastero è la fonte del battesimo, quello che nell’Eden era l’albero
della vita, nel monastero è il corpo del Signore. I diversi alberi da
frutta simboleggiano i diversi libri della sacra scrittura.
La separazione del chiostro evoca, infatti, l’immagine
del cielo dove i giusti sono separati dai peccatori così come coloro che
professano la vita consacrata sono separati, nel chiostro, dai secolari.
Del resto i monasteri sono immagine del paradiso celeste. La fonte e
l’albero della vita sono simbolo del Cristo il quale è la fonte
della vita e l’alimento dei beati. Nel monastero due cori cantano lode a
Dio; e nel paradiso celeste gli angeli e i santi, con soave armonia,
canteranno eternamente al Signore. La grandezza di coloro che nel chiostro
sono dediti al servizio di Dio consiste nel fatto che essi hanno, nella
vita religiosa, un cuor solo ed un’anima sola e tutti hanno ogni cosa in
comune così come nella patria celeste tutti gli eletti avranno un cuor solo
ed un’anima sola nel vincolo della carità e tutti avranno ogni cosa in
comune, perché colui che avrà qualcosa in meno in essa lo riceverà negli
altri lì dove Dio è tutto in tutti. “Nel chiostro ognuno occupa, secondo
l’ordine, il proprio posto; così nel paradiso ognuno riceverà il proprio
posto secondo i propri meriti". Onorio di Autun (1080 ca – † dopo il 1153),
Gemma animae.
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