Stemma dell’Abbazia di Cîteaux   Stemma dell’Abbazia di Piona
Abbazia di Piona
23823 Colico (Lecco)

 

Chiostro

Il chiostro, sempre quadrangolare, è il punto di riferimento di tutto il complesso monastico. Organizzato secondo un’idea distributiva è misura dei singoli locali che formano un compatto nucleo di edifici rettilinei disposti ai quattro lati. È considerato il cuore del monastero perché è il centro della vita dei monaci così come lo è della sistemazione urbanistica.

Lo sviluppo del monachesimo benedettino romano, agli inizi del IX secolo, sotto l’influsso dell’imperatore Carlomagno e di san Benedetto d’Aniano, impone in tutto l’occidente una concreta interpretazione del monachesimo cristiano fino alla concezione di un modello architettonico ben determinato.

Il monastero è concepito come un edificio in cui “i monaci militano sotto una regola e sotto un abate”. Dalla Regola di san Benedetto, però, risulta evidente più la preoccupazione dell’organizzazione interna della comunità che della disposizione e della struttura degli edifici. «Il monastero si costruisca, possibilmente, in modo da potervi trovare tutto il necessario, cioè l’acqua, il mulino, l’orto e gli ambienti per le varie attività così che i monaci non debbano girovagare fuori, cosa che non recherebbe alcun vantaggio alle loro anime».

Attorno a questi principi spirituali e disciplinari si viene delineando e concretizzando la struttura del monastero benedettino. Bisogna, però, attendere l’epoca carolingia, quando i monasteri benedettini, diventano l’elemento portante della riorganizzazione civile e del risveglio culturale, per trovare i primi esempi concreti: Saint Riquer, San Gallo, Fontenelle.

Per quanto riguarda il modello storico, l’edilizia monastica sembra ispirarsi, nella struttura fondamentale, alla villa romana, soprattutto nel chiostro che riprende il peristilio nell’intento di raggruppare e di collegare le parti in una costruzione funzionale ed armonica.

Sotto l’influsso della riforma cluniacense si verifica un risveglio febbrile di attività costruttive che si manifesta sia nella fondazione di nuovi monasteri sia nell’adattamento e nell’ampliamento di strutture esistenti sempre secondo lo schema dell’ordinata articolazione degli edifici attorno al chiostro. L’esame di un notevole numero di monasteri sorti in questo periodo in Europa testimonia che l’impianto di Cluny, quale modello organizzativo, è divenuto vincolante.

Il chiostro rappresenta a tal punto l’universo fisico e spirituale del monaco che il derivato claustrale non solo diviene l’aggettivo qualificativo per eccellenza della vita monastica, ma addirittura, usato in modo sostantivato, è termine sostitutivo di monaco: il claustrale, la claustrale.

Dal chiostro si accede a tutti gli altri ambienti: all’oratorio, alla sala capitolare, al refettorio, ai dormitori, all’infermeria, alla biblioteca. Nel chiostro i monaci si riuniscono prima e dopo i lavori, passeggiano, leggono, fanno le processioni nei giorni di maggiore solennità, si ritrovano alla fine della giornata per ascoltare la lettura spirituale. Per questo motivo il chiostro è carico di una forte valenza teologica, morale, spirituale e mistica.

È il luogo dell’incontro dell’uomo con Dio creatore e redentore, è la scuola della dilezione dove il monaco fa esperienza dell’amore fino, nella sublimità, all’unione mistica, all’incontro nuziale dell’anima con Cristo.

Il chiostro è il luogo del silenzio in quanto non semplice norma disciplinare, negazione di una delle più nobili dimensioni umane qual’è la comunicazione interpersonale, ma come disposizione e condizione indispensabile al dialogo coli Dio.

Nel silenzio della contemplazione l’anima si ripiega su sé medesima, riposa libera e, riparata dai pensieri mondani e materiali, medita sui beni spirituali.

Il chiostro emana una forte carica evocativa e simbolica secondo le ricorrenze e i tempi liturgici, secondo gli stati emotivi personali, secondo il progresso spirituale dei singoli: le gallerie, i colonnati, il giardino interno, l’acqua, gli alberi.

La struttura stessa del chiostro, la forma obbligatoriamente quadrangolare è legata al significato simbolico del numero quattro che, nella cultura antica, è il numero che esprime l’universo: la terra che poggia su quattro colonne, i quattro elementi dell’universo, i quattro punti cardinali, i quattro venti, le quattro stagioni. Le quattro gallerie, da quella ad ovest a quella a sud, indicano e riproducono umano ed il pellegrinaggio spirituale del monaco verso l’amore perfetto di Dio, e rispettiva mente, il disprezzo di sé, il disprezzo del mondo, l’amore del prossimo e l’amore di Dio. Ogni lato ha la sua fila di colonne; alla base di Tutte vi è la pazienza. Il giardino interno riproduce e riecheggia, in piccolo, la varietà, la bellezza e l’armonia del cosmo, in cui i quattro elementi sono non solo rappresentati ma riprodotti: la terra che vi è coltivata, l’acqua che vi sgorga, l’aria in cui è avvolto, la luce da cui è inondato. È un perfetto osservatorio dei tempi e delle stagioni, delle costellazioni e delle fasi lunari.

Il simbolismo ripercorre e lega, con forte accentuazione antropologica, la storia dell’universo e dell’umanità, dalla promessa alla realizzazione, dal giardino dell’Eden al giardino di Pasqua, da Adamo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, a Cristo, figlio di Dio, nuovo Adamo, vero albero della vita, piantato al centro del paradiso, vera acqua che dal fonte battesimale zampilla per la vita eterna. In questo senso si può parlare del chiostro come paradiso claustrale e, più precisamente, come paradiso intermedio, come luogo dì passaggio dal paradiso perduto di Adamo, al paradiso ritrovato in Cristo.

Il giardino evoca la freschezza, la purezza e la perfezione dell’opera appena uscita dalle mani di Dio, la luminosità e la grazia della presenza di Dio che “trova sua delizia lo stare con i figli dell’uomo”. I capitelli, i peducci riproducono, in dovizia, le forme vegetali ed animali che l’immaginario medioevale attribuisce all’Eden dell’inizio.

Ad immagine del macrocosmo, uscito fresco e palpitante di vita dal caos primordiale, il microcosmo claustrale traspira bellezza ed armonia: costruito con sapienza divina secondo peso, numero e misura è la più alta realizzazione estetica, espressione e riflesso di una bellezza che non si spiega ma che si contempla, aspirazione alla visione di Dio coinvolgente più e meglio di qualsiasi argomentazione metafisica ed intellettuale. Il giardino del chiostro è, in genere, quadripartito; scandisce le tappe della spiritualità monastica attraverso quattro tempi: il giardino dell’Eden, il giardino del Cantico dei Cantici, il giardino degli Ulivi, il giardino di Pasqua.

Addossato al lato meridionale della chiesa, fatto costruire come attestano due lapidi, tra il 1252 e il 1257, de suis propriis dal priore Bonaccorso de Canova da Gravedona, il chiostro di Piona rappresenta uno degli esempi più suggestivi dell’architettura romanico-lombarda. Di forma quadrangolare, progettato su un terreno fortemente in pendenza, si sviluppa, secondo i dati di misurazione rilevati dal Marcora, su una concezione di totale asimmetria e si articola in quattro gallerie ineguali per lunghezza, per larghezza, per altezza e per planimetria. L’accorgimento, da un punto di vista estetico, dona dinamismo e movimento armonico alla struttura.

La costruzione è serrata agli spigoli da quattro massicci pilastri, cui si appoggiano, con andatura di danza, gli archi a tutto sesto, leggermente ribassati, la cui curvatura ritmica viene finemente ripetuta e sottolineata da una ghiera sottile ed elegante in mattoni rossi.

Gli archi si slanciano su colonne impostate su basamenti a largo toro, con unghiature protezionali agli spigoli, e coronate da folti capitelli a crochet, fortemente marcati, con frutti pendenti, a foglie spiegate o chiuse, a fiori sbocciati.

Sugli abachi è posizionata, quale elemento di appoggio agli archivolti, una pietra poligonale, segnata da una profonda scozia che raccorda il piallo dei capitelli a quelli dei muri interni ed esterni, sensibilmente pronunciati.

I capitelli offrono la tradizionale varietà di soggetti cara al romanico, spesso ricca di significati simbolici: foglie, volute, teste e corpi animali, mostri, testine umane. I temi sono trattati con uno spiccato gusto per i volumi netti, segnati con precisione e morbidezza secondo una precisa partizione spaziale. Le figure emergono prepotentemente offrendo un gioco di luce e di ombre larghe e marcate.

In quello di Piona, oltre agli elementi caratteristici comuni a tutti gli altri chiostri monastici, ve ne sono dei particolari e specifici, fortemente allusivi. Già il numero stesso delle colonne per ogni lato può essere letto in modo simbolico: le 11 colonne del lato ovest simboleggiano il collegio degli apostoli dopo la defezione di Giuda Iscariota, le 10 del lato nord i comandamenti, le 12 del lato est le tribù d’Israele, le 8 del lato sud la risurrezione di Cristo. Nella galleria del lato nord, quella che affianca la parte muraria della chiesa, su di un abaco e su alcuni capitelli sono scolpiti serpentelli con il volto di donna. Sono elementi interessanti in relazione all’ambiente: camminando, meditando e leggendo nella galleria del disprezzo del mondo il monaco viene ammonito ed esortato a non farsi sedurre, a non farsi tirar fuori, come, purtroppo, era accaduto ad Adamo nel giardino dell’Eden, dalle tentazioni e dalle seduzioni del serpente e della donna, ma a tenere il cuore fermo in Cristo, a camminare con la Chiesa.

Nel lato est, su di un capitello di fronte all’ingresso del capitolo, è scolpito il volto severo di un uomo che può essere considerato il simbolo dell’autorità, responsabile dell’ordine e dell’armonia comunitaria.

Nel lato sud, nella galleria dell’amore di Dio, è, senza dubbio, interessante il quinto capitello, nella direzione est-sud, su cui è raffigurata con forte evocazione simbolica, la descrizione del diluvio universale narrato dalla Bibbia in Gen. 7-8: sul lato est le acque hanno già sommerso tutta la terra, sul lato interno, a sud, le acque sono sorvolate dal corvo che non trova dove posarsi, sul lato ovest le acque sono sorvolate dalla colomba che reca nel becco un ramoscello d’ulivo, verso il giardino è scolpito un albero, verosimilmente una palma, segno della fine del diluvio e pegno di pace di Dio con l’umanità.

In tutte e quattro le gallerie sono presenti molte aquile e, con più precisione, otto scolpite sugli abachi e quattro gruppi di aquile, di quattro aquile ciascuno, su quattro capitelli. L’aquila, ritenuta capace, dalla cultura medioevale, di fissare direttamente il sole e che, nell’imminenza della morte, spicca il volo verso l’alto, rappresenta, nella simbologia del tempo, il monaco che, nella vita del chiostro, contempla incessantemente il volto di Dio ed è proteso all’incontro definitivo con il Signore.

La critica, seppur non in modo unanime, riconosce un’ascendenza borgognona al linguaggio figurativo dei capitelli, anche se da una certa rigidezza nell’interpretazione delle superfici lisce suppone una forte e radicata rappresentanza di lapicidi locali.

Sui lati ad est, a sud e ad ovest si innalza il fabbricato, ricostruito e ristrutturato, in cui sono disposte le celle dei monaci, e una sala per le riunioni della comunità monastica.

Una serie di bifore e di finestroni, secondo i lati, che giocano sulla simmetrica alternanza del bianco e del grigio, danno aria e luce agli ambienti.

L’opera muraria, dalle ghiere delle bifore delle gallerie fino agli spioventi del tetto, è geometricamente ripartita, oltre che da un elegante cornicino bianco marcapiano, da listoni orizzontali, di diverso materiale e di diverso colore secondo i lati, che donano vivacità e brio alla massa.

Gli affreschi del chiostro

Un’attenzione particolare meritano gli affreschi del chiostro. Subito all’ingresso, nella parete dell’andito, una scena, ampiamente mutila nella parte in basso, databile, secondo i critici, ai secoli XV-XVI, raffigura l’apparizione di Cristo a Maria di Magdala. L’affresco è stato sovrapposto ad un altro più antico di cui rimangono un fregio e due lettere in giallo-oro sormontate da corone regali.

Il risorto, circonfuso di luce, sorregge con la sinistra un’asta su cui sventola, gonfiata dal vento, la bandiera della vittoria con la dicitura: Lux et vita sum.

Un cartiglio si srotola dalla spalla sinistra del Cristo verso la figura posta di fronte con l’ammonizione alla Maddalena: Noli me tangere. La scena è riquadrata in uno sfondo rosso mattone. Nell’angolo in alto sopra la cornice, a sinistra di chi guarda, lo scudo con l’aquila dovrebbe essere lo stemma del committente non ancora identificato.

Particolarmente interessanti ci sembrano i dipinti murali eseguiti, nella galleria a nord, sulla parete della fiancata esterna destra della chiesa. Essi si snodano dentro una fascia decorativa lunga m. 16,60 ed alta m. 1.40, ad un’altezza dal pavimento di m. 1.70 ca. La fascia si presenta attualmente molto frammentaria; mancano completamente la prima parte, quella centrale e quella terminale. Sono conservati solamente due grandi frammenti della lunghezza di in. 4 e di m. 4.50 ca.

La fascia è divisa longitudinalmente in due registri: in quello inferiore sono raffigurati santi entro spaziature rettangolari alternate a specchiature in finto marmo e a decorazione geometrica, in quello superiore i mesi dell’anno alternati a rettangoli con decorazione geometrica. Il settore superiore è suddiviso in riquadri da fasce rosse, quello inferiore da fasce gialle. Fra i due settori corre una fascia di cm. 10 con un motivo a fisarmonica di cui è conservato il colore dì una sola faccia su quattro. Nel registro inferiore, nella direzione da ovest ad est, nei frammenti del primo riquadro è individuabile un cavallo e, a lato, un personaggio non meglio specificabile.

Nel secondo emerge un san Giovanni Battista in una iconografia singolare: un personaggio decollato tiene in mano la propria testa e la porge ad un altro con l’aureola, che potrebbe essere il medesimo santo, che regge con una mano un libro e con l’altra l’agnello mistico racchiuso in un cerchio. Nel terzo è raffigurata santa Margherita che, tenendo in alto la croce, libera la fanciulla che il drago tiene stretta nelle fauci. Nel quarto, conservato solo a metà, san Lorenzo è posto sulla graticola con il fuoco acceso e con, allo spigolo in alto, il carnefice che armeggia con una forca. Nel quinto è rappresentato il martirio di santa Caterina d’Alessandria legata alla ruota, con il carnefice da un lato e con i genitori dall’altro. Viene poi un santo non meglio identificabile disteso su di un palo con il carnefice intento a sistemarne una gamba. Nell’ultimo riquadro si intravedono solamente i frammenti di una testa e di una grande ala. I riquadri con santa Margherita, con san Lorenzo e con santa Caterina, quelli dei martiri, sono sovrastati dalla mano di Dio benedicente. Nel registro superiore il calendario dei mesi è caratterizzato dai lavori stagionali: sempre nella direzione ovest-est il mese di agosto dalla preparazione delle botti, il mese di luglio dalla battitura delle spighe, il mese di giugno dalla mietitura del grano, il mese d’aprile dalla figura femminile che stringe tra le mani due mazzi di fiori, il mese di marzo dalla figura maschile con tre facce che soffia in due corni, il mese dì febbraio dalla potatura degli alberi, il mese di gennaio dalla lavorazione del maiale.

Le parti figurative del registro superiore coincidono con quelle decorative del registro inferiore e viceversa. I motivi decorativi del registro superiore sono costituiti da rettangoli in cui lo spazio interno è diviso in 24 quadrati, ognuno dei quali contiene due semicerchi di colori diversi su un fondo rosso con due piccoli fiori bianchi. Questo tipo di rettangolo è alternato con un altro in cui nella decorazione vengono inseriti dei quadrati che contengono un fiore stilizzato.

I motivi decorativi del registro inferiore sono formati da due tipi di specchiature in finto marmo – una bianca con contorno rosso, l’altra rosa con un contorno rosso cupo – e da un rettangolo con motivi ad onde in diagonale rosse e grigio-azzurre con fiorellini bianchi. “Questi affreschi dovevano stare sulla parte esterna della chiesa: sono di un secolo antecedente la costruzione del portico. Lo stile è semplice e decorativo nell’essenziale personificazione della scena senza sfondi. Vi è, soprattutto nelle immagini simboliche del calendario, una vitalità spontanea delle figure non ambientate ma conducenti l’azione da sé sole e richiamanti le coeve miniature lombarde Anche nel nostro calendario, almeno per quello che riguarda i mesi, il tono è dimesso, di maniera non colta, popolare ma non volgare. Le figurazioni dei mesi sono ormai sciolte da clause ritmiche, dall’equilibrio classicheggiante né sono improntate alle inflessioni bizantine: è un discorso semplice senza complicazioni di simbologie né di stimoli di filosofie, ma un richiamo chiaro a quanto si compie ogni giorno ad utilità propria e degli altri” (C. Marcora). Nella medesima galleria, sulla porta posticcia che dal chiostro immette nella chiesa, c’è un affresco, in gran parte mutilo, della figura del Redentore, di attribuzione incerta, che è stato sottoposto ad un restauro maldestro. Nella parete della galleria orientale, vicino all’ingresso della sala capitolare, resta ben visibile lo stemma dell’abbazia di Cluny, casa-madre di Piona. Nella galleria sud del chiostro è affrescata la scena di san Benedetto che respinge la tentazione, così narrata da san Gregorio Magno nel Secondo Libro dei Dialoghi: «Alla sua fantasia lo spirito maligno ricondusse l’immagine di una donna, che aveva conosciuto anni prima. Toltosi le vesti, si gettò nudo tra i rovi e le ortiche e con le ferite del corpo guarì quelle dello spirito».

“La vivacità dei colori, lo stile, il costume della donna ci portano in pieno Trecento. Viene il sospetto che forse tutto il portico fu a quell’epoca affrescato con raffigurazioni di episodi riferentesi alla vita del patriarca dei monaci d’occidente” (C. Marcora).

La costruzione del chiostro nel monastero è stata ripresa dal portico di Salomone, eretto attiguo al tempio. In esso gli apostoli tutti erano soliti radunarsi in armonia di sentimenti e da qui si raccoglievano nel tempio per la preghiera; e la moltitudine dei credenti era un cuor solo ed un’anima sola; essi mettevano tutto in comune (Atti, 4). Secondo questo modello i religiosi vivono nel chiostro in concordia di spirito e, sia di notte che di giorno, nel monastero sono impegnati nel servizio divino. E ancor oggi i fedeli abbandonano il mondo e perseguono nel chiostro la vita in comune.

Il chiostro è, inoltre, figura del paradiso terrestre (Gen. 4) che configura il monastero come un luogo di paradiso più ameno dell’Eden: quella che nell’Eden era la fonte delle delizie, nel monastero è la fonte del battesimo, quello che nell’Eden era l’albero della vita, nel monastero è il corpo del Signore. I diversi alberi da frutta simboleggiano i diversi libri della sacra scrittura.

La separazione del chiostro evoca, infatti, l’immagine del cielo dove i giusti sono separati dai peccatori così come coloro che professano la vita consacrata sono separati, nel chiostro, dai secolari. Del resto i monasteri sono immagine del paradiso celeste. La fonte e l’albero della vita sono simbolo del Cristo il quale è la fonte della vita e l’alimento dei beati. Nel monastero due cori cantano lode a Dio; e nel paradiso celeste gli angeli e i santi, con soave armonia, canteranno eternamente al Signore. La grandezza di coloro che nel chiostro sono dediti al servizio di Dio consiste nel fatto che essi hanno, nella vita religiosa, un cuor solo ed un’anima sola e tutti hanno ogni cosa in comune così come nella patria celeste tutti gli eletti avranno un cuor solo ed un’anima sola nel vincolo della carità e tutti avranno ogni cosa in comune, perché colui che avrà qualcosa in meno in essa lo riceverà negli altri lì dove Dio è tutto in tutti. “Nel chiostro ognuno occupa, secondo l’ordine, il proprio posto; così nel paradiso ognuno riceverà il proprio posto secondo i propri meriti". Onorio di Autun (1080 ca – † dopo il 1153), Gemma animae.