I Cistercensi

Storia dell’Ordine cistercense

Crociate e missioni

Durante tutto il XII secolo, continuò ad aumentare l’attività della Curia romana in molti affari religiosi e politici, sebbene il papato non avesse ancora un personale adeguatamente preparato a livello professionale, su cui appoggiarsi, quando si fossero presentate le necessità o le emergenze. Fu questo il motivo per cui le autorità della Chiesa continuarono ad accogliere come una grande grazia l’aiuto di san Bernardo e dei suoi monaci e continuarono a ricorrere prima di tutto ai Cistercensi, almeno fintanto che non sorsero gli Ordini Mendicanti, nei primi decenni del secolo XIII. Era evidente che un tale ruolo non era molto compatibile con gli ideali del primitivo Cîteaux. D’altra parte, l’organizzazione severa, la presenza così estesa e il numero elevato di membri, tra i quali figuravano le migliori e più attive forze intellettuali del secolo, predestinava i Cistercensi a tappare quel buco e ad assumere varie attività esterne.

La prima forma, e forse la più spettacolare, di tale coinvolgimento fu il ruolo svolto dai Cistercensi nella organizzazione e nella conduzione delle Crociate. Fin dal 1124 venne realizzato un tentativo serio di estendere fino alla Terra Santa l’attività dell’Ordine. Arnoldo, il primo abate di Morimond, senza l’autorizzazione del Capitolo generale abbandonava il suo incarico con la ferma risoluzione di fondare una abbazia in Palestina, accompagnato dai suoi migliori monaci; soltanto la morte prematura gli impediva di realizzare questo piano. San Bernardo era profondamente contrario a questa avventura; e tuttavia egli aveva incoraggiato i Premonstratensi in un tentativo analogo. Egli aveva appoggiato con entusiasmo i Cavalieri del Tempio ed aveva loro dedicato il suo famoso trattato dal titolo De laude novae militiae (La lode della nuova milizia).

Il contributo personale di Bernardo a questa causa fu la sua collaborazione alla predicazione della Seconda Crociata; solo alcuni altri abati cistercensi lo assistevano in Germania. Fra di essi, l’abate Adamo di Ebrach, che si prodigava nello Regensburg, e Gaerlach, abate di Rein, ugualmente impegnato in Austria. Un certo monaco francese di nome Rodolfo, che aveva incominciato a predicare senza alcuna autorizzazione ed aveva sollevato la popolazione nella regione del Reno contro i Giudei, fu ridotto al silenzio da un energico intervento di san Bernardo. L’esercito dei Crociati, tuttavia, non fu accompagnato dai Cistercensi, sebbene due Vescovi cistercensi, Goffredo di Langres e il famoso storico Ottone di Freising, si offrirono come volontari per la spedizione. Questa alla fine fallì; e tuttavia, l’esempio di san Bernardo rimase vivo ed incoraggiò altri cistercensi a prendere parte alle crociate successive.

La sorte della Terra Santa e gli eventi della Terza e della Quarta Crociata evocarono nell’Ordine una grande risonanza. Il Capitolo generale a più riprese proibì ai membri dell’Ordine di fare dei pellegrinaggi in Terra Santa, eppure l’organizzazione della terza Crociata (1184-1192) fu opera, in gran parte, di prelati cistercensi, i quali godevano dell’appoggio morale di tutto l’Ordine. In Italia, l’Arcivescovo di Ravenna, già monaco cistercense, Gerardo, venne designato quale legato papale e incaricato di predicare la crociata e di reclutare volontari. Enrico di Marcy, Cardinale Vescovo di Albano, già abate di Chiaravalle, e Garnier, abate in carica nell’abbazia di Chiaravalle, svolgevano in Francia e in Germania lo stesso mandato; mentre in Inghilterra, Baldovino, Arcivescovo di Canterbury, già abate di Ford, cercava di animare là la causa della crociata. Un certo numero di abati e di monaci seguirono l’esercito verso l’Est. L’arcivescovo Gerardo cadde in battaglia sotto le mura di Acre, l’arcivescovo Baldovino ed Enrico, vescovo di Basilea, morirono per i disagi. Quando Riccardo I Re di Inghilterra, (“Riccardo Cuor di Leone”) era prigioniero in Germania, due abati cistercensi, Roberto di Boxley e Guglielmo di Robertsbridge, negoziarono il suo riscatto; per questo le abbazie inglesi che producevano lana contribuirono con il guadagno della tosatura di un anno intero.

Ancora più intenso fu il coinvolgimento dell’Ordine nella Quarta Crociata. Sotto la pressione di Innocenzo III (1198-1216) il Capitolo generale mise a disposizione un certo numero di abati e di monaci per questa. impresa e fornì delle ingenti somme per contribuire ad arruolare gli eserciti. In Italia, il legato del Papa che riscosse maggiore successo fu Luca, abate di Sambucina, che nel 1198 venne incaricato di predicare la crociata. Nel 1200 sollecitati da Innocenzo, altri sei abati cistercensi assunsero compiti analoghi e negli anni seguenti alcuni altri furono autorizzati a fare lo stesso. Quando i crociati vennero dirottati a Zara e più tardi a Costantinopoli molti cistercensi ripetevano gli ammonimenti del Papa. Fu Pietro, Abate di Lucedio che riportò la protesta di Innocenzo all’esercito radunato a Zara e fu Guy, abate di Vaux-de-Cernay, che la lesse alla assemblea dei cavalieri alla vigilia del loro attacco contro la città. Alcuni abati, tuttavia, restarono con i Crociati e li seguirono nell’attacco contro Costantinopoli. Martino, abate di Pairis, in Alsazia, rifiutò di prendere parte al bottino generale, ma si appropriò ugualmente delle reliquie che rinvenne nella Chiesa del Pantocrator e riportò trionfante questi tesori nel 1205, quando fece ritorno alla sua abbazia. Pietro di Locedio rimase nella città conquistata, partecipò alla elezione di Baldovino di Fiandra come primo imperatore latino e prese parte, per alcuni anni, all’opera di pacificazione svolta sulla Grecia conquistata.

Come frutto tangibile della conquista, tra il 1204 e il 1276 l’Ordine acquistò o stabilì entro il territorio dell’impero dodici abbazie, tra le quali due monasteri di monache. La maggior parte di questi monasteri erano stati abitati in precedenza da comunità di rito orientale. Poche case, tra queste fondazioni cistercensi, sopravvissero al crollo dell’impero latino. Una di queste fu Dafni, che era già stato un antico monastero greco, situato tra Atene ed Eleusi; c’erano forse altri due monasteri a Creta. Nel 1217 Dafni venne affiliato alla abbazia francese di Bellevaux. Quando l’abate di Dafni arrivò a Cîteaux per il Capitolo generale del 1263, egli creò una certa agitazione fra i padri: aveva portato con sé, quale dono per la casa madre dell’Ordine, una preziosa reliquia, un braccio di san Giovanni Battista. Allora, pieno di gratitudine, il Capitolo generale lo esonerò dalla partecipazione alle riunioni capitolari per i sette anni successivi. Quando i Turchi conquistarono Costantinopoli, venne la fine per la comunità cistercense di Dafni (1458); i monaci ortodossi ripresero allora quel monastero che già era loro appartenuto e lo mantennero fino al diciassettesimo secolo.

Sulla scia delle Crociate vennero aperte alcune case cistercensi in Siria, ma i dettagli storici di queste fondazioni restano imprecisi e incerti. L’abbazia più conosciuta e più famosa fu Belmont, a Sud-Est di Tripoli nelle montagne del Libano, che nel 1157 ricevette i monaci di Morimond. Alcuni anni più tardi la stessa casa di Morimond fondava un altro monastero nella medesima regione, e venne chiamato Salvatio; ma la sua collocazione precisa e la sua storia non ci sono noti. Belmont fu responsabile di altre due case, una chiamata San Giovanni (1169) e l’altra Santa Trinità (1187): tutte e due si trovavano probabilmente all’interno dei confini della Contea di Tripoli. Nel 1214 il Capitolo generale incorporava un antico monastero benedettino, San Giorgio di Jubino, sulle Montagne Bianche, che venne considerato casa figlia di La Fertè. Nel frattempo le monache cistercensi davano vita a due abbazie, una ad Acre e un’altra a Tripoli, entrambe con lo stesso nome di S. Maria Maddalena. Il destino di tutte queste fondazioni non avrebbe potuto essere diverso da quello degli stati crociati: quando i Mussulmani li assediarono, vennero evacuati ed abbandonati. Oggi come oggi restano ancora alcune parti del chiostro di Belmont (Dayr Balamand), in un monastero che raccoglie monaci ortodossi. Prevedendo l’inevitabile, Belmont aveva fondato Beaulieu a Cipro, come rifugio, sotto le mura di Nicosia. Dopo la caduta di Tripoli nel 1289, tutta la comunità di Belmont si era rifugiata a Cipro, dove sopravvisse fino alla fine del quindicesimo secolo. Nel 1567 i resti di Beaulieu furono demoliti dai Veneziani, che ne usarono le pietre per la fortificazione di Nicosia.

L’attività occasionale in favore delle crociate e delle attività politiche riguardava soltanto i più eminenti prelati ed abati dell’Ordine; invece, l’eredità missionaria che Bernardo aveva lasciato fra gli eretici della Francia meridionale si sviluppò in una attività secondaria, ben organizzata, della vocazione cistercense. Il grande abate di Chiaravalle intraprese il suo viaggio verso il Sud nel 1145, dietro richiesta del legato pontificio, Alberico, Vescovo di Ostia, già monaco di Cluny. Questo viaggio di Bernardo fu più spettacolare che fecondo di frutti; così nel 1177 Raimondo V, conte di Tolosa, si rivolse di nuovo al Capitolo generale dei Cistercensi per chiedere aiuto. Nessuna iniziativa venne intrapresa, comunque, fino a che Alessandro III non affidò a Pietro, Cardinale di San Crisogono, una missione generale verso il Sud; Pietro aveva come collaboratori diretti due cistercensi, Garin, Arcivescovo di Bourges che era stato abate di Pontigny ed Enrico, abate di Chiaravalle. Nel 1179, Enrico assunse la responsabilità della missione, sia militare che apostolica, e contemporaneamente veniva designato Cardinale Vescovo di Albano. Questi organizzava prontamente una crociata e conquistava nel 1181 Lavaur. Dopo la sua morte, nel 1198, Innocenzo III designava un’altra commissione cistercense, guidata da due monaci di Cîteaux, Ranieri di Ponza, che era il suo confessore, e Guy. Quando Ranieri si ammalò, il Papa lo sostituì con Maestro Pietro di Castelnau, arcidiacono di Maguelonne, il quale fece, quasi immediatamente, professione nel monastero cistercense di Fontfroide vicino a Narbona. Nel 1203, Pietro venne designato legato della Santa Sede, e gli fu dato come assistente un altro monaco di Fontfroide, Raoul. Alla fine, come per sottolineare che l’assunzione della impresa veniva affidata all’Ordine intero, nel 1204 il papa conferì la direzione suprema della missione contro gli Albigesi a Arnoldo Amaury, abate di Cîteaux, che divenne il leader spirituale anche nella crociata successiva di Simone di Montfort. Dopo altri sforzi simili, effettuati in altre località, nel 1207, Amaury, con dodici abati cistercensi come suo seguito, tenne un dibattito di quindici giorni a Montreal con gli eretici; il dibattito venne ripreso a Pamier, ma ancora senza risultati. Uno dei partecipanti più attivi fu Guy, abate di Vaux-de-Cernay, che è già stato menzionato sopra; egli era zio di Pietro, monaco nella sua stessa abbazia, il famoso storico della Crociata contro gli Albigesi. Le difficoltà straordinarie dell’impresa, fra le folle ribelli, la nobiltà piena di diffidenze e i tiepidi prelati sembrarono esaurire le energie di Maestro Pietro, che pregò il Santo Padre di permettergli di ritirarsi nella solitudine di Fontfroide. Ma questo permesso non gli venne concesso. “Rimanga dov’è” – gli scrisse Innocenzo – “in questo momento, l’azione è migliore della contemplazione”. Tuttavia, quest’opera richiese presto degli aiuti efficaci e il Sommo Pontefice chiese a Diego, Vescovo di Osma, e a un suo giovane canonico, Domenico di Guzman, di andare in aiuto ai Cistercensi. Prima di unirsi alla loro difficile impresa, i due spagnoli visitarono Cîteaux, valutarono la possibilità di divenire membri dell’Ordine e rivestirono, solo simbolicamente, l’abito di Cîteaux. Essi poi decisero diversamente, ma fu collaborando con quei tenaci cistercensi che Domenico concepì il suo progetto di fondare una organizzazione specificamente finalizzata a questo scopo: l’Ordine dei Predicatori. Verso il 1207 il numero dei Cistercensi “predicatori di Gesù Cristo” era di circa quaranta persone; ma ben presto, l’anno successivo, uno spiacevole incidente avrebbe mutato la missione pacifica in una crociata armata.

Il 14 gennaio del 1208 Pietro di Castelnau venne assassinato e l’opinione pubblica attribuì la responsabilità di questo assassinio a Raimondo VI, Conte di Tolosa, il promotore principale della causa degli Albigesi. Non è qui il luogo di esporre in dettaglio la lunga e sanguinosa guerra che seguì (1209-1219), sotto Simone di Montfort; ma è certamente degno di nota il fatto che le diocesi più importanti del Sud, ormai conquistato, furono alla fine occupate da Cistercensi. Arnoldo Amaury occupò la sede metropolitana, di Narbona, di notevole importanza, dal 1212 fino alla sua morte, avvenuta nel 1225; un monaco di Grandselve, l’ex trovatore Folquet di Marsiglia, fu insediato nel cuore della resistenza, come Vescovo di Tolosa nel 1205. Fu lo stesso Folquet (o Fulk) che, nel 1215, divenne lo strumento per la realizzazione della prima fondazione di un convento di Domenicani a Tolosa; per tutta la vita egli rimase un promotore del nuovo Ordine. Nel 1210, la sede episcopale di Carcasson, riconquistata da poco, venne immediatamente affidata a un altro cistercense, Guy, abate di Vaux-de-Cernay.

Fra le personalità più caratteristiche dei Cistercensi che parteciparono alla crociata, la più rilevante e, inevitabilmente, la più discussa fu quella di Arnoldo Amaury. Egli era un intrepido difensore della fede oppure un esponente tipico del sud, violento, ambizioso, fanatico, simile ai molti altri personaggi coinvolti in quella guerra? È significativo che il suo nome sia ormai collegato per sempre con uno degli apocrifi più indelebili della storia medioevale. Successe probabilmente alla conquista di Béziers (1209), una fortezza degli Albigesi: i crociati, vittoriosi, erano confusi di fronte al castigo generale inflitto agli abitanti, dato che era impossibile distinguere i fedeli dagli eretici. “Uccideteli tutti” – avrebbe deciso Amaury – “il Signore li conosce e li distingue”. Le parole riecheggiano la seconda Epistola a Timoteo (2, 19), ma la storia sembra aver avuto origine nel “Dialogo dei Miracoli”, composto da un monaco cistercense tedesco, Cesario di Heisterbach come una collezione di “aneddoti edificanti”, tra il 1219 e il 1223. La natura del “Dialogo” dovrebbe essere un ammonimento e un richiamo sufficiente anche per i lettori più ingenui; inoltre, l’autore, onestamente, riferiva l’incidente come una diceria “dicono che egli abbia affermato”; e tuttavia, pochi storici hanno tralasciato l’occasione di riportarlo.

Nella penisola iberica lo spirito combattivo, l’ispirazione per la crociata dei Cistercensi si manifestò nella organizzazione o nella animazione di un certo numero di ordini cavallereschi, tutti dedicati alla riconquista della loro terra di fronte agli Arabi. Il primo e il più significativo di questi Ordini fu quello dei Cavalieri di Calatrava. Nel 1157 corse l’allarme che i Mori stavano attaccando Calatrava, una fortezza-chiave nella difesa di Toledo. I Cavalieri del Tempio che difendevano Calatrava affermarono di non essere in grado di sostenere l’attacco imprevisto e mandarono una supplica al Re di Castiglia, Sancho III. In quella circostanza, per pura coincidenza, Raymondo Serrat, abate dell’abbazia cistercense di Fitero, era in visita a Toledo. Egli era accompagnato da uno dei suoi monaci, Diego Velazquez, che era stato cavaliere e amico d’infanzia del Re Sancho. Spinto da Diego, Raymondo offrì la propria collaborazione per organizzare la difesa armata di Calatrava; e così, nel 1158, il Re gli dava in possesso la fortezza “perché fosse sua e la difendesse per sempre”.

L’attacco dei Mori non riuscì poi a realizzarsi concretamente; ma intanto un gran numero di volontari, accorsi per la difesa, aveva rivestito l’abito cistercense e si era sottomesso alla guida di Raymondo. Dopo la morte di questi, avvenuta nel 1163, i cavalieri elessero il loro primo Maestro, Don Garcia, che si rivolse al Capitolo generale dei Cistercensi per avere una regola di vita e fossero riconosciuti come ramo dell’Ordine. Il Capitolo del 1164 rispose favorevolmente, ma l’incorporazione formale avvenne soltanto nel 1187, quando il nuovo Ordine di Cavalieri venne posto sotto la responsabilità dell’abate di Morimond, abate-padre di Fitero. I suoi diritti comprendevano la visita regolare annuale, la nomina di un priore e la conferma della elezione del Maestro. Quest’ultimo, noto più tardi come il “Grande Maestro”, era incaricato dei cavalieri e delle operazioni militari; il priore, che ben presto divenne un “Gran Priore” dotato di poteri semi-episcopali, era sempre un monaco cistercense francese, della filiazione di Morimond: era responsabile dei sacerdoti e dei fratelli ed aveva cura delle necessità spirituali e materali dei cavalieri. Calatrava fu conquistata dai Mori nel 1195, ma ripresa nel 1212: da allora i cavalieri divennero l’esercito per la riconquista della Andalusia. Verso la fine del XV secolo, suddivisi in 84 “comandi”, i cavalieri di Calatrava avevano accumulato degli immensi territori, che comprendevano 72 chiese con circa 200.000 persone sotto la giurisdizione dell’Ordine. Fu in gran parte a seguito delle grandi ricchezze dell’Ordine che nel 1489 il controllo del Re si estese su di esso; nel 1523 il titolo di Grande Maestro di Calatrava venne annesso alla Corona Spagnola. Dopo la conclusione della riconquista l’Ordine perse il suo carattere religioso ed anche militare, sebbene la sua organizzazione, quale titolo onorifico della nobiltà spagnola, venne almeno nominalmente conservata.

I Cavalieri di Alcantara vennero alla luce quasi contemporaneamente ai Cavalieri di Calatrava, grazie all’iniziativa di due fratelli, Suarez e Gomez di Salamanca. Nel 1158 essi trovarono un protettore e un mecenate nel Vescovo Odone di Salamanca, che era stato monaco cistercense; questi assunse da sé il ruolo di primo priore dei cavalieri. Il centro delle loro attività fu la fortezza di San Giuliano di Peyrero, e per oltre sessant’anni avevano portato essi stessi il nome di quella località. La loro regola, simile a quella di Calatrava, venne approvata da Alessandro III nel 1177, ma un rapporto più stretto con l’Ordine ebbe inizio solo con il 1221, quando i cavalieri di Calatrava trasferirono ad essi la difesa di Alcantara, nel León, sulle rive del Tago, al confine con il Portogallo. Da questo periodo in poi i due Ordini cavallereschi furono strettamente associati ed anche Alcantara venne accettato dal Capitolo generale di Cîteaux e posto sotto la autorità di Mofimond. Il destino finale di Alcantara fu lo stesso di quello di Calatrava.

I Cavalieri di Montesa ereditarono tutti i beni dei Templari, soppressi a Valenza nel 1312. Nel 1317 essi vennero organizzati da membri dell’Ordine di Calatrava; così Montesa divenne anch’esso membro di quegli ordini associati, posti sotto la autorità di Morimond. Una situazione analoga si presentò in Portogallo, quando l’Ordine di Cristo venne organizzato dal Re Dionigi nel 1319 in sostituzione dei Cavalieri del Tempio. Anch’essi vennero poi posti nell’osservanza di Calatrava da dieci cavalieri spagnoli, inviati in Portogallo a questo scopo. L’Ordine di Cristo, tuttavia, venne posto sotto la giurisdizione di Alcobaça. Un altro Ordine di Cavalieri, Portoghesi, affiliato all’Ordine Cistercense, fu quello di Aviz. Dopo oscuri inizi, essi occuparono Evora (1176) e per un po’ di tempo portarono il nome di questa fortezza; nel 1211 essi ricevettero dal Re Alfonso II la fortezza di Aviz. Anch’essi seguirono lo schema già stabilito dall’esperienza dei precedenti Ordini Cavallereschi: adottarono gli usi di Calatrava e insieme la giurisdizione di Morimond. Nel 1551 gli Ordini di Cristo e di Aviz vennero uniti con la corona portoghese e persero il loro carattere religioso.

I Cistercensi svolsero un’attività missionaria e cavalleresca o “crociata” insieme, anche in un altro territorio: l’Europa Nord-orientale, soprattutto in Prussia e nelle province del Baltico. Là, come fra gli Albigesi, la predicazione costituiva solo una parte del compito da svolgere: la conversione delle tribù ostili e bellicose richiedeva una diplomazia intelligente, e talora anche un’abile conduzione militare. I primi sforzi e tentativi in questa direzione furono assunti da Eskil, Vescovo di Lund. Nel 1164, durante uno dei suoi soggiorni in Francia, egli ordinava nella cattedrale di Sens, alla presenza di Alessandro III, Stefano di Alvastra, monaco cistercense, quale primo arcivescovo di Upsala. Poi, qualche tempo dopo, egli consacrava anche Fulco, un monaco cistercense francese, quale Vescovo dell’Estonia, che era ancora una regione pagana. Dietro richiesta di Fulco, Alessandro III indisse una crociata per soggiogare gli abitanti della Estonia, ma l’iniziativa non diede risultati durevoli. Dopo il 1180 il nome di Fulco scompariva dai registri ufficiali.

La missione in Livonia ebbe maggiore successo: essa venne guidata da san Mainrado (1140 ca.-1196), che era stato un canonico agostiniano e il primo Vescovo della Livonia. Fu probabilmente Mainrado che reclutò quel famosissimo missionario cistercense, Dietrich (Teodorico) di Thoreida (Treiden), che era monaco di Loccum. Dietrich servì con molta fede non solo Mainardo ma anche il suo successore, Bertoldo, che era stato il suo abate nel monastero di Loccum; e questo fino a quando Bertoldo morì, in battaglia, ucciso dai suoi “riluttanti convertiti” (1198). La situazione divenne propizia per Dietrich soprattutto con il nuovo Vescovo, Alberto di Buxhovden ardente e capace. Questi era stato canonico di Brema e fondatore della sua sede episcopale (1160 ca.-1229). Dietrich divenne il suo consigliere di fiducia e nello stesso tempo un efficace coordinatore con la corte papale. Egli visitò Roma almeno sei volte ed informò Innocenzo III dei problemi riguardanti le missioni nel Nord. Più tardi, quale Vescovo di Estonia, fu uno dei partecipanti nel 1215, al IV Concilio del Laterano. Ma molto prima di tale data era emersa la possibilità di formare, sotto gli auspici del papa, una chiesa-stato indipendente, che sarebbe stata governata da Riga. Questo progetto mobilitò tutte le risorse della diplomazia papale: esso non fu purtroppo mai realizzato, ma divenne come la matrice di una molteplicità di attività missionarie e “crociate”, nei decenni successivi. Sfortunatamente, dopo la morte dell’imperatore Enrico VI (1197) la Germania si immerse in una caotica situazione politica. Nonostante i ripetuti appelli dei Papa in proposito, non era possibile organizzare delle vere e proprie “crociate”. Tuttavia, il movimento mise in risalto una delle personalità più caratteristiche di quell’epoca turbolenta, Bernardo di Lippia (1140-1224), potente vassallo e compagno di armi di Enrico di Lione, duca di Baviera.

La cronaca di Enrico di Livonia dà una rappresentazione viva della sua “conversione”: “Il conte Bernardo, quando ancora era nella sua terra, aveva preso parte a molte guerre, incendi e assalti. Ma fu punito da Dio e si ammalò di una malattia che gli indeboliva i piedi, e così, zoppo ad ambedue i piedi, dovette essere t.phportato in barella per molti giorni. Guarito da questa malattia fu ricevuto nell’Ordine Cistercense. Dopo aver studiato per alcuni anni le lettere e la religione, egli ricevette autorità dal Papa di predicare la parola di Dio ed andare in Livonia. Come egli stesso ebbe a raccontare spesso, dopo aver accettato la croce per andare nella terra della Beata Vergine Maria, i suoi arti immediatamente si irrobustirono ed i suoi piedi divennero sani”.

Nel 1185 Bernardo contribuì alla fondazione dell’abbazia cistercense di Marienfeld, e qui, ben presto, egli stesso divenne monaco. Alcuni anni dopo rivesti la sua armatura e indisse una crociata; ma alla fine divenne abate di Dünamünde (1221-1218), una feconda abbazia cistercense, che fu una importante fondazione. Incoraggiato dal Vescovo Alberto di Riga, l’anziano guerriero accettava un altro posto missionario quale abate di Senigallia (in Lituania), dopo la sua consacrazione avvenuta ad opera di suo figlio, il Vescovo Ottone di Utrecht. Il culmine di questa lunga carriera fu senz’altro nel 1219, quando, vicino ormai all’ottantina, egli consacrava il suo secondo figlio, Gerardo, ad arcivescovo di Brema.

Una enigmatica figura cistercense emerse dall’ombra quando, alla morte del Vescovo Alberto di Riga, seguì una disputa episcopale per la sua elezione (1129). Le parti in conflitto si rivolsero al Papa, Gregorio IX, il quale inviava il Cardinale Ottone sul posto. Sulla via di Riga, il Cardinale univa alla sua causa le grandi qualità di Baldovino, un monaco cistercense di Aulne, una grande abbazia della Bassa Lorena. Mentre il Cardinale indugiava in Danimarca, Baldovino si arrogò delle iniziative e, sfruttando l’occasione, rispolverò l’idea di formare uno stato, vassallo del Papa, in tutto il territorio dell’area orientale del Baltico. Nel 1232, dopo aver raccolto degli aiuti locali, egli si precipitava in Italia e persuadeva il Papa sulle convenienze pratiche dei progetto; su queste basi Gregorio lo consacrava Vescovo di Senigallia e Kurlandia, e lo rendeva legato papale su tutto quel territorio. Baldovino organizzò a Riga il proprio quartier generale, ma i suoi piani ambiziosi provocarono la resistenza militare dei Cavalieri della Spada, che già possedevano molte delle terre rivendicate da Baldovino. Le forze armate del Vescovo, organizzate precipitosamente, vennero sconfitte dai Cavalieri nella battaglia di Reval (1233) che pose fine al progetto e discreditò il suo autore, che perse insieme anche il suo ufficio di legato papale. Dopo aver trascorso qualche tempo ad Aulne, Baldovino, sconcertato, si unì alla corte dell’Imperatore Baldovino II di Costantinopoli, che lo ricompensò con la sede metropolitana di Verissa, dove moriva nel 1243.

Tra le imprese cistercensi più durature e significative ci sono quelle dei cavalieri, organizzati su basi simili a quelle dei cavalieri della penisola iberica. L’idea fu proposta nel 1202 da Dietrich di Thoreida e incoraggiata calorosamente dal Vescovo Alberto di Riga. La bolla di Innocenzo III dei 1204, che indiceva una crociata, menzionava un gruppo di guerrieri “che vivono come i templari”; difatti, già in quell’anno c’era una casa, a Riga, dove abitavano questi uomini, volgarmente noti come i Cavalieri della Spada o fratelli della Spada (I Fratelli della Milizia di Cristo in Livonia). Essi comprendevano cavalieri, sacerdoti e servi. Guidati da un Maestro, essi vivevano in una rigorosa povertà, sotto una regola simile a quella dei Templari. Il nome derivava dal loro bianco mantello, decorato con l’immagine di una spada rossa. Nel 1210, Innocenzo III prometteva loro un terzo del territorio che avrebbero conquistato ai pagani, perché fosse loro feudo ricevuto dal Vescovo di Riga. Rapidamente, i cavalieri espandevano i loro possessi in Livonia, Estonia e Kurlandia e verso il 1230 essi possedevano uno stato potenzialmente autonomo, amministrato da sei castelli, collocati strategicamente (Ascheraden, Riga, Segewold, Wenden, Fellin e Reval) ciascuno dei quali, era governato da un maestro provinciale. Il numero dei cavalieri non superò mai la cifra di duecento, ma con i servi ed i vassalli, l’Ordine poteva mobilitare un esercito composto da duemila combattenti. Tra i trenta sacerdoti della organizzazione, molti erano cistercensi. Dopo una disastrosa sconfitta riportata nel 1236 contro i Lituani in Kurlandia, i pochi superstiti dei Cavalieri della Spada furono assorbiti dai Cavalieri Teutonici, che erano in rapida espansione.

Circostanze pressappoco identiche originarono in Prussia una organizzazione simile. L’inizio di una attività missionaria in quelle terre ancora pagane venne sostenuta da Goffredo, abate di Lekno, un monastero cistercense situato in Polonia, che ospitava personale tedesco. Con la benedizione di Innocenzo III, egli iniziava la predicazione nel 1206, e fu raggiunto nel 1207 da uno dei suoi monaci, Filippo. Nel 1209 un altro monaco cistercense raccolse la sfida, Cristiano (1180-1245); un successo fenomenale gli meritò il titolo di “apostolo dei Prussiani”. Nel 1215, accompagnato da due prussiani neoconvertiti, egli viaggiava fino a Roma, dove il Papa Innocenzo III lo nominò e consacrò Vescovo di Prussia. Presto, tuttavia, si organizzò la reazione dei pagani; Filippo venne assassinato, e Cristiano dovette allestire una difesa armata. In queste circostanze, Cristiano, seguendo l’esempio di Dietrich di Thoreida, fondava l’Ordine dei Cavalieri di Dobrin, chiamati così dalla loro fortezza, situata sulla Vistola. Invitati da Cristiano, alcuni membri dell’Ordine di Calatrava arrivarono dalla Spagna per formare le nuove reclute. I Cavalieri iniziarono il loro servizio dopo il 1222, e ricevettero un forte appoggio da un altro cistercense, il Vescovo Brunwrd di Schwerin, che era stato monaco di Amelunxborn. Le forze militari raccolte dal nuovo Ordine rimasero modeste ed alla fine anche questa organizzazione venne assorbita dai Cavalieri Teutonici; tuttavia alcune unità dei Cavalieri di Dobrin rimasero vive e attive in Russia fino al 1240.

All’inizio un certo numero di abbazie cistercensi della Germania assunse l’onere delle missioni nel Baltico, ma presto una nuova fondazione venne realizzata, alla foce del fiume Duna, vicino a Riga, perché costituisse come una base di lancio per queste attività. Era l’abbazia di Dünamünde, fondata nel 1205 da Dietrich di Thoreida, suo primo abate ed abitata da monaci tedeschi. Dietrich rimase abate della comunità fino al 1213, quando, da instancabile monaco qual era, venne nominato vescovo dell’ancora pagana Estonia. Nel 1218, con l’incoraggiamento di Onorio III e l’aiuto del Re Waldemar II di Danimarca, Dietrich lanciò una crociata contro i suoi feroci e renitenti sudditi, che lo uccisero in una imboscata nel 1219, confondendolo, ironia della sorte, con il Re Waldemar.

Sebbene ben fortificata, Dünamünde venne saccheggiata nel 1128 dai pagani e i suoi abitanti furono massacrati. Gli intrepidi cistercensi ricostruirono le rovine e in assidua gara con i Cavalieri Teutonici espandevano le loro terre in ogni direzione. Ma la posizione della abbazia era tanto strategica, che l’Ordine dei Cavalieri Teutonici non poteva agire con successo senza possederla. Nel 1305, sotto una pressione crescente, i Cistercensi furono costretti a vendere Dünamünde ai Cavalieri, a condizione che 13 monaci e 7 servi potessero restare nella fortezza.

Altra fondazione analoga fu Falkenau, fondata a Pforta (1234), vicino a Dorpat, l’avamposto più avanzato verso l’est. L’abbazia seppe resistere alle ambizioni dei Cavalieri Teutonici, ma fu distrutta soltanto nel sedicesimo secolo da parte dei Russi, che avanzavano verso l’Occidente. L’ultima fondazione in Estonia fu Padis, realizzata nel 1317 dai monaci che avevano dovuto lasciare Dünamünde. L’abbazia venne distrutta nel 1343 e 28 monaci furono uccisi dagli Estoni; eppure la comunità risorse a nuova vita e fu una abbazia fiorente per un altro secolo. I monaci possedevano delle terre ed avevano diritti di pesca fino alle coste meridionali della Finlandia. Padis, bersaglio costante degli attacchi dei Russi e degli Svedesi, passò allo stato nel 1559. E, da ultimo, bisogna ricordare a questo punto che le monache cistercensi furono partecipi di questa vigorosa espansione dell’Ordine nella regione. Esse aprirono delle abbazie a Riga, Leal, Dorpat, Leinsal e Reval; ma tutte queste case scomparvero nel corso del sedicesimo secolo.

Non è possibile dare una statistica precisa del numero dei cistercensi impegnati in attività missionarie o nelle crociate, ma i documenti dei Capitoli generali abbondano in misure restrittive e punitive contro i “monaci vagabondi” o i predicatori non autorizzati. Ciò sembra indicare che, mentre la base dell’Ordine rispondeva con entusiasmo alla nuova sfida, molti abati guardavano male e diffidavano delle iniziative che trascinavano i monaci lontano dai loro monasteri. In uno dei suoi sermoni, Cesario di Heisterbach esprimeva con eloquenza la perplessità delle autorità cistercensi: “In questi giorni, come sapete, dietro comando del Papa molti monaci ed abati sono stati rimossi dalle loro celle e monasteri, contro la loro volontà e di mala voglia, per predicare la Croce; tuttavia, considerando che il loro allontanamento dal monastero avrebbe apportato frutti di fecondità, non resistettero alla chiamata che li spingeva a raccogliere le messi del Signore”. Fu sempre sotto la pressione che veniva dal sommo Pontefice, soprattutto durante il Pontificato di Innocenzo III, che il Capitolo generale, sebbene malvolentieri, concesse che alcuni individui venissero messi a disposizione per il servizio missionario. Così, per rispondere alle insistenze del Papa, il Capitolo generale del 1211 ordinava all’abate di Cîteaux di prendere contatto con Innocenzo III per esonerare da impegni esterni almeno i priori, i sottopriori e i cellerari. Ma il Papa non acconsentì; allora il Capitolo generale nel 1212 incaricò l’Abate di Morimond di esaminare attentamente la situazione e di arrivare a un compromesso soddisfacente tra i desideri del Sommo Pontefice e la salvaguardia dell’Ordine. Solo nel 1220 Onorio III dava istruzioni ai Vescovi dell’Europa Orientale perché cercassero degli aiuti missionari “tra i Cistercensi come fra gli altri”. Soltanto dopo il pieno sviluppo degli Ordini Mendicanti, soprattutto dei Domenicani, si allentò la pressione apostolica sui Cistercensi. Una decisione del Capitolo generale di Cîteaux, del 1245, può essere considerata la conclusione delle missioni, e ben a proposito: i monaci dell’Ordine dovevano recitare i sette salmi penitenziali e sette “Pater Noster” per il successo delle missioni dei Domenicani e dei Francescani.

Incontestata è l’importanza dei Cistercensi nella evangelizzazione del Nord; ma venne spesso interpretato male il ruolo svolto dalle abbazie delle regioni del Baltico e della Prussia nella “germanizzazione” di queste regioni. È vero che molti monasteri conservarono il loro tipico carattere tedesco nell’ambiente che li circondava; essi preferivano ammettere novizi tedeschi e assoldavano operai tedeschi per lavorare le loro terre; ma ogni supposizione che questi modi di fare fossero motivati da un cosciente nazionalismo, è del tutto anacronistico. Una spiegazione molto più semplice e insieme molto più realistica può essere rilevata nel fatto che le regioni in cui si trovano non rispondevano alla loro presenza; a causa della mancanza di vocazioni locali, le abbazie si videro costrette ad assicurare la loro sopravvivenza grazie ad un vincolo vitale ininterrotto con la loro abbazia-madre e, vivendo in un mondo che spesso era loro ostile, cercarono di assicurare la propria autonomia circondandosi di coloni fedeli.

Il rispetto che nell’epoca medioevale si portava alla pietà e alla integrità, spinse molti illustri membri dell’Ordine, soprattutto abati, a giocare dei ruoli importanti come mediatori, arbitri, presenze di pace in favore del papato o delle diplomazie monarchiche. Nel 1138, Riccardo, primo abate di Fountains, accompagnava Alberico di Cluny, legato papale, nel suo giro di visite regolari in Inghilterra. Nella elezione, così disputata, del nuovo arcivescovo di York, nel 1140, svolgeva un ruolo di primo piano Guglielmo di Rievaulx, un ardente discepolo di san Bernardo e la faccenda si concludeva con l’elezione di Enrico Murdac, un austero asceta cistercense. Sant’Elredo di Rievaulx era stato chiamato fuori dalla sua abbazia quasi con la stessa frequenza di san Bernardo. Egli era riuscito a persuadere Enrico II ad appoggiare Alessandro III contro l’antipapa Vittore IV, aveva inoltre svolto un ruolo di pace e di mediazione tra varie abbazie, aveva partecipato a sinodi e si era reso disponibile in molte occasioni simili. Il più attivo tra i prelati inglesi della generazione seguente fu senza dubbio Baldovino, Abate di Ford. Egli era un illustre canonista e fedele difensore di Thomas Becket ed entrava nell’abbazia di Ford nel 1169; nel 1175 fu eletto abate e continuava ad essere il braccio destro del Papa Alessandro III in Inghilterra. Baldovino venne promosso alla sede episcopale di Worcester nel 1180 e designato per quella di Canterbury nel 1184, ma restava disponibile al Papa Lucio III per svolgere alcune missioni delicate. Già è stata fatta menzione del suo ruolo nella Terza Crociata e della sua morte ad Acre (1190). Guglielmo, Abate di Fountains, ricevette tante missioni gravose per conto della Santa Sede che i suoi monaci, indignati, si rivolsero direttamente a Lucio III per presentare le loro lamentele. Il Papa, in una lettera realmente piena di carità, del 1185, esprimeva la sua simpatia sia per i monaci che per Guglielmo, e assicurava quest’ultimo “attestiamo con questo documento che avremo cura, con l’aiuto di Dio, di non farvi assegnare delle responsabilità da parte nostra… a meno che si presenti una situazione in cui qualche altro grave problema sia insolubile e che, a nostro giudizio, non ci sia altro modo di risolverlo convenientemente che facendo appello a Voi”.

Tra il 1170 e il 1196 molti altri abati cistercensi, tra cui quelli di Rievaulx, Vaudey, Bruern, Thame, Combe, Stoneleigh, Boxley, Buckfast, Kirkstall e Warden, svolsero il ruolo di legati papali in molte delicate questioni in Inghilterra. Nel Tredicesimo secolo gli abati cistercensi vennero invitati a prendere parte in numero considerevole al Parlamento inglese. Simone di Montfort faceva appello a 17 cistercensi nel 1265; durante il regno di Edoardo I (1272-1307) quarantaquattro cistercensi ricevettero chiamate simili. Nella contesa fra l’imperatore Federico Barbarossa e Papa Alessandro III (1159-1181), Pietro, Arcivescovo di Tarantasia, già abate di La Ferté, appoggiò la causa di Alessandro, legalmente eletto, contro gli antipapi del Barbarossa. Durante queste due decadi piene di conflitti, il Capitolo generale e una ventina di abati fra i più influenti dell’Ordine si prodigarono per raggiungere un accordo che conciliasse le due parti; d’altronde, le negoziazioni conclusive furono condotte a termine da due Cistercensi, il Vescovo Ponzio di Clermont, e l’abate Ugo di Bonnevaux. Il Papa riconosceva gli eccellenti servigi resi dall’Ordine con la solenne canonizzazione dì san Bernardo il 18 Gennaio 1174.

Le contese tra il Papa e l’imperatore si rinnovarono con Federico II (1215-1250), quando tre cardinali cistercensi, Corrado di Urach, Giacomo di Pecoraria e Ranieri di Viterbo servirono la causa di Papa Onorio III e del suo successore, Gregorio IX. L’Ordine Cistercense si trovò implicato anche nel conflitto tra il Papa Bonifacio VIII (1294-1303) e Filippo il Bello, Re di Francia. Il Papa e Giovanni di Pontoise, abate di Cîteaux dovettero combattere fianco a fianco contro la violenza del re. Come ricompensa, il Papa concesse a Giovanni il privilegio di usare il sigillo pontificio, bianco, con il suo ritratto impresso, in posizione seduta; il Papa spiegò: “solo voi siete stato in piedi al mio fianco, e perciò solo voi avete il privilegio di sedervi, con me”. Disgraziatamente, tuttavia, la loro coraggiosa resistenza non portò ad alcun risultato, se non alla morte prematura del Pontefice ed alla prigionia dell’Abate.

Se il numero dei Cardinali e dei Vescovi Cistercensi costituisce una prova attendibile della posizione e della influenza dell’Ordine in seno alla Chiesa nel corso dei secoli, non ci sarà alcun dubbio sul prestigio dell’Ordine: 44 Cardinali e circa 600 Vescovi possono essere identificati negli annali cistercensi.

Bibliografia

(...)

L.J. Lekai, I Cistercensi. Ideali e realtà, V, Certosa di Pavia, 1989.

© Certosa di Firenze