I Cistercensi

Storia dell’Ordine cistercense

La sfida della Scolastica

Nella storia della cristianità medioevale, il secolo XII è stato il momento storico più creativo. Le attese suscitate dalla riforma gregoriana nell.phpettativa di un mondo governato secondo principi cristiani, non vennero purtroppo realizzate; eppure, il papato di Innocenzo III portò la Chiesa a un vertice, mai raggiunto prima, di ascendente morale e di potere politico. Il tentativo di formare una federazione cristiana dei nascenti stati europei non poté essere portato a termine, e tuttavia le diverse Crociate testimoniavano la capacità di coesione e di forza che gli ideali comuni erano in grado di suscitare, per portare avanti la volontà di una azione comune. Lo sviluppo della pietà individuale, la ricerca instancabile della verità e della bellezza sfociavano nel rinnovamento dei misticismo e in una originalità mai raggiunta anteriormente, nel campo della poesia e dell’arte. Il desiderio di raggiungere ideali elevati ma irraggiungibili giunse ad essere tradotto in forme artistiche geniali nella poesia di Cristiano di Troyes, morto nel 1190 che creò la saga del Santo Graal, la sorgente della vita nuova, della conoscenza e della beatitudine celeste anticipata sulla terra, rappresentazione allegorica di tutto ciò che rendeva, per quella nobile generazione, la vita degna di essere vissuta.

Tra gli Ordini monastici recentemente rinnovati, i Cistercensi offrivano ciò che migliaia di persone animate dal desiderio di Dio riconoscevano essere la scelta migliore e più carica di valori, una forma di vita che conduceva sicuramente alla salvezza. Secondo alcuni studiosi della pietà e della poesia dell’epoca, Clairvaux servi a Cristiano come modello del suo castello mistico del Santo Graal, e Perceval usava il linguaggio di san Bernardo. Comunque sia, il grande Abate parlava il linguaggio dei suoi più grandi contemporanei con una autorità irresistibile. Nel 1139 Bernardo incantava a Parigi un pubblico erudito e prometteva ai suoi ascoltatori affascinati felicità e conoscenza non, come faceva Abelardo, attraverso le capacità della ragione e della logica, ma attraverso l’affezione dell’amore. E li invitava a seguirlo a Clairvaux, dove avrebbero potuto «trovare l’ammirevole santuario, dove l’uomo è nutrito dal pane degli angeli; trovare il paradiso di delizie piantato da Dio… non un paradiso di appagamenti sensuali ma il paradiso della gioia interiore. Un giardino in cui non si entra con i piedi ma con le ali dell’affetto». Fintanto che i novizi Cistercensi cercavano tutto questo, non era necessario che le abbazie assicurassero una formazione intellettuale vera e propria; il fascino di Cîteaux si dimostrava più intenso presso coloro che nel mondo avevano già ricevuto una formazione avanzata, prima della loro “conversione”.

Gli inizi del XIII secolo, tuttavia, annunziarono una trasformazione radicale in questa raffinata atmosfera culturale. Il crollo umiliante della Quarta Crociata, che era stata dirottata dagli interessi commerciali dei Veneziani verso Costantinopoli e non più verso la Terra Santa, raffreddò ogni entusiasmo dei guerrieri del XIII secolo per simili avventure. Dopo la morte prematura di Innocenzo III, il papato divenne lo strumento, e alla fine la vittima, di interessi politici contrastanti. Federico II, ultimo imperatore della famiglia degli Hohenstaufen, era stato formato e fatto secondo un modello ben diverso da quello dei suoi predecessori, sostenitori delle Crociate, ed il suo progetto personale era quello di mutare o di barattare persino il Sacro Romano Impero con una Monarchia fortemente centralizzata, il cui centro era posto in Sicilia, dove egli avrebbe vissuto e governato senza tener conto delle norme e dei principi della morale cristiana. La pietà popolare, e soprattutto il fascino della povertà, divenne, con l’eresia degli Albigesi, movimento pericoloso, antisociale e anticlericale. Contro questi temibili avversari le armi dialettiche dei missionari cistercensi si dimostrarono prive di efficacia. San Domenico si rivolse verso questa eresia, radicata in fondo in una emotività eccentrica, usando le armi di una logica senza cedimenti, sostenuta, là dove si dimostrava insufficiente, dall’uso della forza. La repressione armata dei dissenzienti e l’Inquisizione furono fenomeni altrettanto nuovi quanto la teologia “scolastica”, che non si fondava più sull’insegnamento di tendenza neo-platonica dei Padri della Chiesa, ma sulla filosofia di Aristotele, recentemente riscoperta. Le nuove tendenze culturali si allontanavano dal misticismo “dell’amor celeste” e dalla spontaneità libera e informale del XII secolo, per trasformare la teologia in una disciplina rigidamente controllata, propria di alcuni professionisti legalmente riconosciuti come tali, i quali, trincerati nelle nuove università, tenevano ovunque lo stesso tipo di conferenze basate sugli stessi manuali fondamentali. Un razionalismo trionfante imprimeva ovunque il proprio segno, in qualsiasi campo della ricerca artistica o intellettuale. Tutto ciò che era degno di essere appreso era raccolto nelle “somme” sistematiche o nelle enciclopedie; la musica era un ramo specifico della scienza; l’architettura veniva ad essere rigidamente regolata da certe virtuosità di ingegneria, persino la poesia doveva essere sottoposta a delle regole rigide, sotto l’egida della scolastica. La commercializzazione dell’economia e la crescita ulteriore delle città, abitate da una borghesia ben educata, fiorente ed ambiziosa non erano direttamente in rapporto con il cambiamento delle correnti intellettuali, ma certamente tutti questi fenomeni sottolineavano le notevoli differenze che caratterizzavano il XIII secolo in rapporto al XII.

Risultato inevitabile fu che le abbazie cistercensi, nel loro isolamento rurale e nella loro rustica semplicità non potevano restare più a lungo Il sulla cresta dell’onda”, come espressione tipica dello sviluppo del tredicesimo secolo. I Domenicani si adattavano meglio a servire la Chiesa come missionari e come teologi; i Francescani trasmettevano alle masse urbane il messaggio della povertà con maggiore efficacia; il clero secolare o il laicato erano in grado di sostituire i Cistercensi, per la loro educazione professionale, quali consiglieri o rappresentanti. Ma ciò che è più importante, è rilevare che le vocazioni migliori si univano agli Ordini Mendicanti più che agli antichi ordini monastici e che i fratelli conversi, per conto loro, trovavano più conveniente unirsi ai monasteri urbani dei nuovi Ordini che lavorare nelle grange dei Cistercensi. I cambiamenti che man mano venivano introdotti a livello giuridico e amministrativo nell’Ordine Cistercense dimostravano chiaramente che il Capitolo generale non soltanto era consapevole delle nuove istanze ma era anche disposto ad assumere delle modifiche strutturali corrispondenti. Eppure verso il 1330 diventò evidente per la prima volta che l’antica immagine che l’opinione pubblica si faceva dell’Ordine doveva essere ripulita e rinnovata se si desiderava costituire ancora un’attrattiva vocazionale proporzionata al mantenimento e alla sopravvivenza delle abbazie, con un personale adeguato. Durante il resto del secolo l’immagine dell’asceta Cistercense che trascorreva le sue giornate nella preghiera e in un faticoso lavoro manuale dovette essere sostituita con quella del monaco dotto, che divideva il suo tempo di lavoro tra la scuola e la biblioteca.

Alla ricerca di ragioni più tangibili per la costituzione delle prime istituzioni educative dei Cistercensi, Matteo Paris, un testimone contemporaneo ben documentato, giunse alla conclusione che «i Cistercensi, per evitare il disprezzo dei Domenicani, dei Francescani e dei secolari più eruditi, soprattutto degli avvocati e dei canonisti… ottennero di aprire delle case a Parigi e un po’ dappertutto, là dove essi avrebbero potuto studiare con maggiore dedizione teologia, diritto canonico e diritto romano, perché non volevano restare da meno degli altri». Il cronista nutriva qualche riserva verso l’affermarsi di questa tendenza all’interno degli ordini religiosi e ricordava loro che l’autore della loro Regola, san Benedetto, aveva abbandonato gli studi a Roma per ritirarsi nel deserto. Tuttavia, egli non biasimava, in sé, la scelta degli ordini religiosi ma l’influenza negativa di un mondo che non rispettava né seguiva più la semplicità della vita monastica.

Senza dubbio, il grande storico inglese rifletteva l’eco dei suoi perplessi contemporanei, i quali credevano, non senza ragione”, che la competitività dei più grandi ordini religiosi era dovuta in certa misura anche alla ricerca di una educazione più qualificata. Nel caso dei Cistercensi, tuttavia, due altri fattori davano al problema una maggiore urgenza. Uno era stato l’esperienza deludente di molti abati che avevano predicato fra gli Albigesi e la cui mancanza di preparazione teologica, a livello accademico, era stata riconosciuta ovunque come una delle cause del loro insuccesso. Il secondo motivo, e certo più decisivo, fu la comparsa di una personalità straordinaria, Stefano Lexington, un altro grande inglese della storia dell’Ordine, il quale non solo aveva notato la necessità impellente di meglio formare i monaci, ma anche possedeva l’energia e lo zelo necessari per lanciare con successo un arduo programma, nonostante una considerevole opposizione.

Stefano Lexington era nato in una famiglia di gran prestigio, di ufficiali di alto rango, che avevano servito sia la Chiesa che il governo monarchico d’Inghilterra. Stefano aveva ricevuto un’ottima educazione, per aver studiato dapprima a Parigi e poi a Oxford, come discepolo di sant’Edmondo Rich di Abingdon, che divenne più tardi arcivescovo di Canterbury. Nel 1214 Stefano riceveva una prebenda nella Chiesa di Southwell, ma, ben presto, forse sotto l’influenza del suo santo maestro, egli raggiungeva con sette compagni una comunità cistercense, quella di Quarr Abbey, situata sull’isola di Wight. Nel 1223 diveniva abate di Stanley e mentre svolgeva questo ufficio ricevette dal Capitolo generale l’incarico di visitare le turbolente abbazie irlandesi. Questo giro di visite del 1228 terminò con l’essere una esperienza molto dura e il giovane abate ne ricavò la conclusione che la maggior parte dei disordini derivava dalla totale ignoranza e lentezza mentale dei monaci, con i quali non gli fu nemmeno possibile comunicare, dato che gli Irlandesi non parlavano e non comprendevano né il latino, né l’inglese e neppure il francese. Nel 1229 Stefano venne eletto abate di Savigny e fece uso della propria crescente autorità per migliorare il numero e la qualità delle vocazioni in tutta la rete dell’estesa famiglia di Savigny.

Egli intraprese senza indugio un giro di visite regolari e in ogni abbazia egli ordinava che dopo il compimento del noviziato i giovani monaci dovevano trascorrere due anni nello «studio, nella meditazione e nella lettura delle leggi e delle usanze dell’Ordine, e durante questo periodo nessun altro compito doveva interferire negli studi». Nel 1241 si univa agli abati di Cîteaux, Clairvaux e di altre case in un viaggio per partecipare a un sinodo a Roma, convocato da Gregorio IX. Le navi genovesi che portavano i prelati furono intercettate dalla flotta imperiale condotta da Enzo, figlio illegittimo di Federico Il. La maggior parte degli abati venne imprigionata, ma Stefano riuscì a fuggire, grazie all’audacia di suo fratello John Lexington. Più tardi, nel 1243, Stefano raggiunse il vertice della sua carriera quando venne eletto Abate di Clairvaux. La sua influente posizione gli offrì la possibilità di imporre un nuovo orientamento e una nuova impostazione, alle vocazioni cistercensi aprendo la via verso una più esigente formazione monastica, anche a livello istituzionale.

Da lungo tempo era apparsa con chiarezza, nel cuore di Stefano, l’urgenza inevitabile di un tale indirizzo. Quando era ancora abate di Stanley, verso il 1227, aveva scritto una lettera a Raul, abate di Clairvaux, ammonendolo sul fatto che «il nostro Ordine è minacciato dalla rovina e dall’estinzione per difetto di personale e giustamente… perché noi non abbiamo più uomini degni di fiducia sia per pietà che per dottrina, come ce n’erano molti durante la vita di san Bernardo, cioè uomini che potessero, in casi di emergenza come i nostri, dare una mano per sostenere il Nostro Ordine, che già invecchia e vacilla …”. Le voci che si diffondevano a proposito del dilagare dell’eresia fra i Cistercensi del Sud aggravarono la situazione. In una lettera indirizzata a Giovanni, abate di Pontigny (1233-1242), Stefano richiamava la sua attenzione su sette monaci divenuti eretici, nella abbazia di Godon (della filiazione di Pontigny): e questo perché avevano aderito a degli errori a seguito della loro ignoranza. E continuava: «si verificherà a un certo momento la terribile predizione fattaci da uno dei superiori dei Domenicani, e che cioè nel giro di dieci anni essi sarebbero stati obbligati ad assumere la direzione e la riforma dell’Ordine, e questo perché negli ultimi trent’anni nessun studioso eminente, e soprattutto nessun teologo, è entrato nelle nostre abbazie, e quelli che ci sono ancora sono troppo avanzati». In conclusione, Stefano domandava al suo collega di Pontigny di mobilitare le sue conoscenze romane, perché i suoi amici ne informassero il Sommo Pontefice e lo mettessero al corrente dei gravi problemi dell’Ordine, nella speranza che il Pontefice avrebbe esercitato delle pressioni sull’abate di Cîteaux e sui proto-abati per spronarli a prendere delle risoluzioni in merito. La proposta concreta di Stefano era quella di realizzare una riunione di abati nei pressi di Parigi, in modo che le autorità dell’Ordine potessero discutere tra di loro il problema e trovare mezzi e modi per controbilanciare il pericolo e le difficoltà create dalla mancanza di formazione teologica.

Non si conoscono dettagli sugli sviluppi immediati, ma l’iniziativa promossa da Stefano dovette avere successo, perché il Capitolo generale del 1237, dietro richiesta di Everardo, Abate di Clairvaux (1235-1238), permetteva allo stesso di mandare a Parigi alcuni dei suoi monaci perché seguissero degli studi; essi sarebbero stati accompagnati da un altro monaco e da due fratelli conversi, i quali avrebbero provveduto alle necessità materiali degli studenti. La stessa facoltà era concessa a quegli abati che desiderassero inviare degli studenti a Parigi, insieme a quelli di Clairvaux. Di fatti, fin dal 1227 Clairvaux possedeva una casa a Parigi, vicino all’abbazia di St-Germain-des Pres, ed è molto probabile che si fosse formata li la prima comunità di studenti dell’Ordine.

Lo sviluppo dell’istituzione fece passi giganteschi subito dopo l’elezione di Stefano Lexington ad Abate di Clairvaux, il 6 dicembre 1243. Senza porre nessun indugio questi informava Innocenzo IV della sua intenzione di costituire a Parigi un Collegio Cistercense in piena regola, e trovò nel Sommo Pontefice un appoggio pieno di entusiasmo. Una bolla pubblicata il 5 gennaio 1245 autorizzava l’Abate di Clairvaux di stabilire a Parigi uno studio teologico: «per la salvezza e l’onore dell’ordine Cistercense e per l’ornamento e la gloria della Chiesa Universale». La primitiva proprietà di Clairvaux si dimostrò poco adatta per la sua destinazione: allora Stefano fece trasferire lo studentato in una costruzione annessa all’abbazia di San Vittore. E poi nel 1246 egli acquistò una vasta area di terra a Chardonnet, annesso al luogo dove le fortificazioni costruite da Filippo Augusto raggiungevano la Senna, sulla riva sinistra. Stefano, presentendo che tale iniziativa non sarebbe stata approvata dalla maggioranza dei suoi colleghi nell’abbaziato, di tendenze più conservatrici, si rivolse al Papa per un sostegno. Alla vigilia del Capitolo generale del 1245 Innocenzo IV indirizzò una lettera all’assemblea, lodando lo studentato di Parigi e raccomandando calorosamente che fosse sostenuto dall’Ordine. Questo, naturalmente, assicurò il successo dell’iniziativa e l’assemblea concesse la propria approvazione, sebbene gli abati avessero tenuto a sottolineare che ciò si eseguiva «dietro l’ordine di Sua Santità il Sommo Pontefice e sulla petizione e raccomandazione di numerosi cardinali, soprattutto di sua Eminenza Giovanni di Toledo, Cardinale titolare di san Lorenzo in Lucina». Era ugualmente significativo il fatto che lo stesso documento giuridico incoraggiava tutti gli abati a promuovere gli studi all’interno dei loro monasteri e ordinava che almeno una abbazia in ogni regione fosse designata per la promozione degli studi teologici. Sebbene si offrisse agli abati la scelta di mandare degli studenti sia a questi centri regionali che alla casa di Parigi già in piena efficienza, il proseguimento degli studi non venne reso obbligatorio e così gli studi accademici rimasero pienamente volontari.

Nel corso degli anni successivi, specie per un decennio, il nuovo Collegio, chiamato san Bernardo, fece notevoli progressi. Delle considerevoli donazioni finanziarie ne aumentarono le possibilità economiche, mentre alcuni privilegi papali ne esaltavano lo statuto nel confronto con altri collegi analoghi, situati a Parigi. Il documento più prezioso venne promulgato da Innocenzo IV il 28 Gennaio 1254: con esso veniva concesso al Collegio san Bernardo di godere di tutti i diritti e i privilegi già in possesso dei collegi dei Domenicani e dei Francescani: e questa condizione fu ottenuta dai Cistercensi prima di qualsiasi altro Ordine monastico, cluniacensi compresi. Seguendo le usanze già radicate negli altri istituti di Parigi, il Collegio san Bernardo era guidato da un rettore, che godeva piena autorità sulle questioni sia relative allo studio che alla disciplina; egli era nominato dall’abate di Clairvaux. Il primo rettore fu Guglielmo, che era già stato procuratore di Clairvaux: egli dirigeva una comunità di venti giovani studenti. Una lettera papale pubblicata solo nel 1254 autorizzava il Collegio ad ammettere novizi e fratelli laici. L’ordinamento venne approvato dal Capitolo generale dello stesso anno, ma il piano non venne realizzato mai, forse in seguito alle premature dimissioni di Stefano.

Secondo le testimonianze fornite da Matteo Paris, il Collegio san Bernardo non solo prosperò, ma gli studenti Cistercensi dimostrarono di godere una popolarità maggiore, all’interno delle università e da parte delle autorità stesse e degli studenti degli Ordini Mendicanti. Nonostante questo e nonostante gli alti appoggi di cui Stefano godeva a Roma, questi si trovò di fronte a una crescente ostilità da parte dei membri del Capitolo generale: gli abati Cistercensi, infatti, erano ovviamente perplessi di fronte alla influenza che studi accademici potevano esercitare sull’osservanza delle tradizioni ormai secolari dell’Ordine; inoltre essi erano rimasti abbastanza offesi per il fatto che l’abate di Clairvaux si fosse rivolto al Capitolo generale per stabilire questa fondazione solo dopo essersi assicurato pienamente il favore delle autorità romane. I resoconti del Capitolo generale non riportano assolutamente nulla a questo proposito, ma l’assemblea del 1255 si espresse negativamente nei confronti di Stefano Lexington e lo depose dal suo ufficio abbaziale di Clairvaux; il celebre e degno prelato si ritirò allora all’abbazia di Ourscamp. È molto probabile che le decisioni del Capitolo generale fossero profondamente influenzate dalla morte di Innocenzo IV, sopravvenuta il mese di dicembre del 1254. A Innocenzo successe Alessandro IV, da cui non si attendeva una posizione decisa e autorevole nella controversia. Eppure il nuovo Papa, che vegliava su ciò che succedeva a Cîteaux, prese decisamente posizione in favore dell’abate di Clairvaux recentemente deposto. In una lettera indirizzata a Guy, abate di Cîteaux, egli domandava che Stefano venisse ristabilito nella sua precedente dignità; quando Guy si rifiutò di procedere, il Papa si rivolse a Luigi IX. Tuttavia il Re prese la parte di Cîteaux; Stefano allora, per salvare l’Ordine da situazioni ancora più difficili, lasciò cadere la cosa e restò a Ourscamp, dove si spegneva poco dopo.

Nonostante tutti questi eventi sfavorevoli, il Collegio san Bernardo continuò a ingrandirsi e verso la fine del secolo un gruppo di ampi edifici ospitava all’incirca trentacinque monaci. Le donazioni originali si dimostrarono insufficienti per portare avanti una istituzione di questo genere e l’onere finanziario per sostenerla si fece così pesante sull’economia di Clairvaux che, nel 1320, l’abbazia si vide costretta a cedere il Collegio alla responsabilità del Capitolo generale; da allora in poi il Collegio venne amministrato direttamente dal Capitolo generale a beneficio dell’Ordine intero. Il momento più glorioso dell’istituzione si ebbe con l’elezione al soglio pontificio di un monaco cistercense, Benedetto XII (1334-1342), il quale fece iniziare la costruzione di una chiesa monumentale, che però non venne mai interamente condotta a termine. La guerra dei Cento Anni e le sue tristi conseguenze resero molto difficile il funzionamento regolare del Collegio e queste condizioni deplorevoli aumentarono durante gli anni turbolenti delle guerre civili e religiose del sedicesimo secolo. Il rinnovamento dei diciassettesimo secolo, tuttavia, riportò l’istituzione al suo antico splendore e la casa medioevale restò un collegio ben amministrato e ben frequentato fino alla soppressione del 1791. Nel corso di cinque secoli il Collegio san Bernardo di Parigi portò alla laurea in teologia circa cinquecento “dottori”; pochi di essi si rivelarono pensatori o studiosi originali e fecondi, ma la maggior parte di essi giunse ad occupare posizioni di prestigio nell’amministrazione dell’Ordine, sia in Francia che all’estero.

Sebbene l’idea di far compiere studi accademici avesse incontrato una così decisa resistenza nel Capitolo generale del 1255, ormai il movimento era irresistibile e dopo alcuni anni lo stesso corpo giuridico moltiplicava strani elogi in favore di questo sforzo e faceva tutto il possibile perché si coltivassero gli studi in tutto l’Ordine. Nel 1260 il Cardinale Giovanni di Toledo incoraggiava l’abbazia di Valmagne ad aprire un collegio annesso all’Università di Montpellier. Il Capitolo generale diede il proprio assenso e l’istituzione venne aperta nel 1265. Essa ricevette i contributi finanziari e il sostegno morale degli abati della Francia meridionale, sebbene non giungesse mai all’altezza dello studio teologico di Parigi; venne poi chiuso quando gli Ugonotti conquistarono la città, nel 1567. Una iniziativa di maggiore importanza fu il Collegio san Bernardo aperto a Tolosa, promosso da Grandselve ed approvato dal Capitolo generale del 1280. Dopo un incendio disastroso, scoppiato nel 1533, gli edifici rimasero per vari decenni disabitati e abbandonati, ma alla fine si ripresero i corsi e l’istituzione contìnuò a vivere fino alla metà del secolo diciottesimo. Nel 1281 le abbazie inglesi fondavano un Collegio a Oxford. Alcuni anni più tardi l’abbazia tedesca di Ebrach costruì un collegio a Wúrzburg, e Camp ne eresse uno simile a Colonia.

La bolla Fulgens sicut stella di Benedetto XII (1335) fornì il primo documento giuridico a proposito degli studi accademici dei Cistercensi e ispirò così un’altra ondata di costruzioni dì collegi. Il Papa, che era un celebre canonista del suo tempo, concesse la qualifica di Studium generale a tutti i collegi che già esistevano (Parigi, Oxford, Tolosa e Montpellier), trasferiva inoltre il collegio spagnolo di Estella nella diocesi di Pamplona a Salamanca, ordinò l’erezione di un collegio a Bologna per le abbazie italiane e un altro a Metz per le “figlie” di Morimond situate in Germania. Ognuno di questi collegi cistercensi doveva essere sostenuto e affidato alla responsabilità delle abbazie della regione; il collegio di Parigi, comunque, restava aperto a tutti i Cistercensi, di qualsiasi nazionalità. Non era più solo raccomandato ma era esplicitamente richiesto e d’obbligo mandare degli studenti a questi collegi. Le abbazie che avevano almeno una trentina di monaci, dovevano mandare a Parigi uno studente o due; le comunità più piccole avevano la possibilità di scegliere tra il mandare i loro studenti a Parigi o al collegio più vicino. Le case che avevano meno di diciotto membri non cadevano sotto queste prescrizioni. L’amministrazione dei collegi era affidata alla revisione di un Padre Immediato ed era regolata con cura, così come lo erano anche le borse di studio, l’insegnamento e lo stipendio del personale. Il piano di studi, i requisiti richiesti per i diplomi e i principi fondamentali della disciplina erano anche precisati con cura; veniva sottolineata di nuovo la proibizione tradizionale di studiare il diritto canonico. I professori erano severamente ammoniti di astenersi da «una condotta di vita piena di ostentazione e di vanità; le lezioni dovevano essere tenute con umiltà e devozione; tutti dovevano accontentarsi del cibo disponibile e del servizio adatto a dei chierici». Come in altre parti dello stesso documento, Benedetto XII si interessava a fondo dei dettagli della amministrazione fiscale, e aveva le sue buone ragioni. Mantenere degli studenti a Parigi o in qualsiasi altra parte richiedeva un enorme sforzo ad ogni comunità a causa sia della lunghezza del corso degli studi sia per le spese che la qualifica ufficiale richiedeva loro. Oltre ai sei anni dedicati agli studi delle arti, il corso di teologia richiedeva altri sei anni prima che lo studente potesse conseguire il diploma di baccalaureato; e dopo due anni di lettura delle sentenze di Pietro Lombardo, gli studi accademici erano compiuti, ma ci voleva almeno un anno ancora per raggiungere il titolo di maestro o di dottore in teologia. Il documento giuridico emanato dalla bolla Benedettina determinava il limite di mille monete di Tours per la spesa di una qualifica teologica; e questo spiega perché molti abati erano piuttosto inclini a ritirare i loro studenti prima del compimento di tutto il curriculum.

Il XIV secolo non fu un periodo di prosperità nella storia cistercense, ma la moda della scolastica era talmente prevalente che la pubblicazione della bolla Benedettina fu seguita dalla fondazione di un certo numero di collegi, soprattutto a Est del Reno. Così, poco dopo l’apertura della università di Praga nel 1348, venne inaugurato un collegio cistercense in una casa chiamata “Gerusalemme”, donata dall’Imperatore Carlo IV. Alla maniera del Collegio di Parigi, venne affidata e organizzata sotto la revisione dell’abate di Königsaal. La rivolta degli Ussiti nel 1409 espulse i monaci fuori dalla città; allora gli studenti cistercensi di quella regione si radunarono nella università di Lipsia, dove l’abbazia di Altzelle sostenne l’apertura di un nuovo collegio cistercense, completato nel 1427. Secondo i dati raccolti dai registri dell’Università, più di 300 studenti frequentarono teologia tra il 1428 e il 1522, oltre agli studenti che seguivano la facoltà delle arti. A Vienna, grazie alla generosità del Duca Alberto III, il Collegio Cistercense di san Nicola venne aperto nel 1385, poco tempo dopo l’organizzazione della facoltà di teologia, nell’università dì Vienna. Il vecchio collegio di Wúrzburg aveva finito di attirare gli studenti cistercensi, e così l’abate di Ebrach ne aprì un altro nel 1387 a Heidelberg, il Collegio di san Giacomo, che ebbe maggiore successo del precedente. Altre Università della Germania, come Erfurt, Rostock e Greifswald formavano molti altri studenti, mentre l’Università di Cracovia riceveva i monaci polacchi e verso la fine del secolo quindicesimo vi fu costruito un collegio sotto l’autorità dell’abate di Mogila. Le ricche e numerose abbazie dei Paesi Bassi in un primo tempo mandavano i loro studenti a Parigi, ma poi, quando venne fondata nel 1425 l’Università di Lovanio, favorirono questa istituzione, sebbene gli studenti Cistercensi non vivessero in un solo collegio, ma piuttosto in alcune case delle rispettive comunità.

Ristrettezze economiche e diminuzione delle vocazioni resero progressivamente sempre più difficile il mantenimento dei collegi, e verso la fine dei quindicesimo secolo molti si battevano per la semplice sussistenza. Le sorti dello studium generale di Oxford può servire da esempio per illustrare il peggioramento delle condizioni. Questa istituzione prese inizio nel 1280, grazie alla generosità di Edmondo, il conte di Cornovaglia. Il Capitolo generale del 1281 approvò il progetto e stabilì che una casa di studi venisse costruita come un monastero regolare a Oxford, sotto la responsabilità e la tutela dell’abbazia di Thame. Così venne aperta la nuova abbazia di Rewley, costituita da quindici monaci di Thame, il giorno 11 dicembre 1281 e per la festa di san Michele del 1282 (29 settembre) arrivarono i primi studenti, ciascuno dei quali doveva versare una pensione di 60 scellini all’anno per il vitto e l’alloggio. Si supponeva che la casa avrebbe reso servizio a tutte le abbazie delle isole britanniche e nel 1292 venne decretato che ogni comunità con più di 20 monaci avrebbe dovuto mandare almeno uno studente. Ma l’istituzione non si conquistò mai la simpatia e la popolarità degli studenti Cistercensi e nemmeno il favore dei monasteri. La maggior parte dei giovani che frequentavano l’Università preferivano trovare ospitalità presso le varie locande o pensionati di Oxford, mentre allo stesso tempo il numero di quanti si dedicavano agli studi diminuiva sempre di più. Riccardo 11, assistendo a una processione di studenti nel 1399 rimase molto scandalizzato nel vedere solo cinque cistercensi. Un’assemblea successiva convocata ad Oxford chiedeva di reperire i fondi per migliorare l’organizzazione di Rewley ed un Capitolo cistercense nazionale nel 1400 approvò un piano per raccogliere a questo scopo 112 lire sterline annue. I miglioramenti non si realizzarono fino a quando, dietro la pressione di un certo numero di abati cistercensi, l’arcivescovo di Canterbury, Enrico Chichele, donava nel 1438 una proprietà a Northgate Street per la costruzione di un nuovo Collegio, che sarebbe stato chiamato san Bernardo. Gli inizi furono promettenti e nel 1446Jean di Morimond, in visita regolare, promulgò un elaborato piano di regolamenti per il funzionamento del collegio, ma le spese per la costruzione di edifici adatti rimasero un problema insoluto. Nel 1482 il collegio non era ancora terminato, sebbene si facessero pressioni su tutte le comunità che avessero più di 12 membri perché mandassero almeno un monaco al collegio; e le comunità che avessero ventisei o più membri erano tenute a pagare la quota di due studenti. Alla fine tutto fu portato a compimento grazie soprattutto alla generosità dell’Arciduca Huby, dopo la sua elezione ad abate di Fountains nel 1494. Un edificio quadrangolare a due piani venne quindi realizzato, con un giardino centrale e una notevole torre quadrata che sovrastava il cancello principale. La cappella venne consacrata nel 1530 ed il collegio poteva ospitare, oltre al rettore e al personale, quarantacinque studenti. Lo scioglimento nel 1539, segnò la fine del Collegio san Bernardo di Oxford, che venne riaperto nel 1557 come Collegio di san Giovanni Battista. La statua di san Bernardo che era stata collocata sopra l’entrata, era stata ritoccata in modo da rassomigliare al nuovo patrono, san Giovanni.

Mentre si facevano interessanti pressioni sulle comunità monastiche per promuovere i corsi accademici, lo studio del diritto era invece, come quello della medicina, strettamente proibito. La condanna dei monaci impegnati in ricerche di questo tipo emerge tra i canoni del secondo Concilio del Laterano (1139), che invocava come motivazioni l’avarizia e la tentazione dì utilizzare l’abilità di avvocato per proteggere la propria disonestà. Il Capitolo generale del 1188 segnalava alcune opere di diritto canonico, ed in particolar modo il Decreto di Graziano, a causa dei vari errori che esse potevano generare. Lo stesso atteggiamento ufficiale prevalse lungo tutto il corso del Medio Evo, ma senza riuscire tuttavia a scoraggiare o spegnere l’entusiasmo e il fascino che gli studi di diritto esercitavano sulle intelligenze più aperte. Il procedimento normale per eludere tali ostacoli era quello di procurare delle dispense papali che, secondo le indicazioni date da documenti degni di fiducia, venivano concesse con larghezza. In altri casi gli studenti cistercensi semplicemente seguivano corsi di diritto canonico al di fuori dei propri corsi normali di studio, in altri collegi e senza che i loro superiori ne fossero al corrente. Fu questo il caso di almeno sette studenti del Collegio san Bernardo di Tolosa, i quali studiavano diritto canonico clandestinamente, ma furono colti in fallo e espulsi dal collegio senza troppe cerimonie, dietro ordine del Capitolo generale del 1334. Ma anche interventi così drastici non ottennero il fine desiderato. I monaci trovavano ampie occasioni e possibilità per studiare diritto nelle loro proprie biblioteche. Secondo i dati di un catalogo steso nel 1472, la biblioteca di Clairvaux conteneva non meno di 143 codici di diritto canonico e di diritto romano, su di un totale di 1.714 volumi. Non sarebbe stato possibile spiegare la presenza di una così rilevante collezione di opere giuridiche senza supporre che, nonostante tutte le proibizioni, esse venivano frequentemente richieste e consultate.

La fondazione di un collegio ad Avignone, destinato precisamente all’insegnamento del Diritto inflisse un duro colpo all’atteggiamento negativo ufficiale nei confronti degli studi giuridici. Essa era opera di Giovanni Casaleti, abate di Senanque, che era personalmente laureato all’Università di Avignone nella facoltà di diritto, ed era così un Dottore dei Decreti. In una stretta collaborazione con il Cardinale Giuliano della Rovere, il futuro Papa Giulio II, egli apriva il “Collegio san Bernardo di Senanque” nel 1496, e solo nel 1499 si rivolgeva al Capitolo generale per una approvazione che, date le circostanze, non poteva non essere concessa. L’istituzione seguiva il seguente piano: avrebbe dovuto ospitare 12 studenti già avanzati negli studi e questi, secondo le usanze seguite a Bologna, la scuola di diritto più celebre in quel tempo, avrebbero dovuto governarsi da sé, eleggendo uno di loro come “priore”. Casaleti aveva procurato un bell’edificio, una biblioteca adatta e delle donazioni considerevoli, ma il sistema della commenda, che purtroppo si stava affermando ovunque, rovinò le abbazie dei dintorni, compresa Senanque. Una visita regolare, effettuata nel 1603, trovò solo tre studenti guidati da un “rettore”, e poco tempo dopo l’agonizzante opera cessava di funzionare, sebbene la proprietà restasse in mano ai Cistercensi fino al 1790.

Non è possibile rispondere categoricamente in quale misura l’approfondimento degli studi influenzò e modificò lo svolgimento abituale della vita monastica. Sembra cosa sicura, comunque, che l’impatto dell’impostazione nuova si fece sentire solo gradualmente e sporadicamente. Il numero di monaci che avevano raggiunto titoli accademici restò sempre abbastanza ridotto; le comunità più povere non poterono mai permettersi di formare così a fondo nessuno dei loro membri, a meno che dei parenti o altri benefattori contribuissero al pagamento delle spese. E, più ancora, i problemi gravi a livello economico, diffusi a scala quasi universale, nel tardo XIV e XV secolo ridussero quasi del tutto la frequenza ai collegi. L’organizzazione di studentati di filosofia e di teologia nelle abbazie più grandi venne spesso incoraggiata, ma i documenti più sicuri tacciono sul numero dei membri che le frequentavano, sul livello dell’istruzione che si impartiva, sulla qualità degli studenti e il numero stesso di queste scuole abbaziali. D’altro canto, coloro che ritornavano alle loro comunità dopo il compimento degli studi e il conseguimento di una laurea, erano ricolmati di onori per tanto successo. Godevano allora del diritto di precedenza su altri membri della comunità, erano preferiti per gli incarichi ufficiali, erano incoraggiati a continuare i loro studi e ricevevano dei fondi per libri o materiale necessario per scrivere. In alcuni casi si aveva il privilegio di godere di una cella fuori del dormitorio comune, come ad esempio nel caso di Raimondo Torti, maestro di diritto canonico nell’abbazia di Boulbonne, a cui il Capitolo generale del 1402 permise di chiudere a chiave la porta della sua cella «perché frequentemente egli deve preparare dei sermoni e teme di perdere i suoi libri o altre cose che appartengono al monastero».

Dal punto di vista degli studenti, la ricompensa più grande per i lunghi e faticosi anni spesi nei collegi era la quasi inevitabile promozione alla dignità di priori o di abati. Il Capitolo generale del 1560 aveva certamente ragione nel notare, in retrospettiva, che «il celebre collegio di Parigi del nostro Ordine, come è noto, ci è servito come un cavallo di Troia, da cui sono usciti fuori la maggioranza degli eroi, le personalità più notevoli dei nostri padri del passato e del presente».

L’influenza degli studenti dei collegi tuttavia non sempre fu costruttiva in rapporto alla disciplina monastica. I registri dei Capitoli generali per tutto il XIV e il XV secolo sono pieni di richiami e di misure correttive prese contro gli studenti colpevoli, soprattutto nei confronti di quelli del Collegio san Bernardo di Parigi, dove l’influenza negativa della città e della vita universitaria era più considerevole. Gli studenti che provenivano da famiglie ricche e influenti avevano dei servi personali e dilapidavano durante le feste i beni con eccessiva prodigalità in rapporto ai loro compagni, alcuni dei quali vivevano in condizioni di estrema povertà. Gli studenti che avevano già raggiunto il baccalaureato richiedevano all’interno del Collegio uno statuto speciale e davano cattivo esempio agli studenti più giovani. È stato registrato nel Capitolo generale del 1453 che i “baccalaureati’ rifiutavano di accettare l’autorità del loro rettore, ma cercavano contemporaneamente di spadroneggiare e di maltrattare i loro stessi compagni di rango. Spesso erano negligenti nel partecipare all’ufficio divino e sprecavano tempo nelle loro stanze mangiando, bevendo e giocando a carte o a dadi.

Particolarmente difficile era mantenere la disciplina in quei tempi dell’anno in cui tutti gli studenti si davano alla pazza gioia, per esempio alla festa dell’Epifania, il 6 gennaio. Forse in quelle occasioni gli studenti cistercensi uscivano furtivamente dal loro collegio, si mescolavano, in abiti civili, alle folle festanti, indossavano delle maschere o si dipingevano il volto. Il Capitolo del 1456 infliggeva la scomunica per tali eccessi. La tradizionale fraternità delle matricole, chiamate bejani (becchi gialli) con il suo complicato rito di iniziazione, le sue fantasiose dignità, titoli, ranghi e assurdi doveri, era una perenne fonte di burle e di scherzi, ma anche il bersaglio di misure repressive, fino a che nel 1493 l’intera organizzazione venne severamente soppressa. C’erano anche eccessi di altro genere che le autorità dovevano pur condonare, cioè banchetti o ricevimenti di altro tipo, in occasione delle lauree. La pressione esercitata da abitudini ormai radicate era tale che nemmeno la povertà poteva esimerne. Il giovane abate di Rigny, che si laureò nel 1478, trattò i suoi ospiti con una tale generosità che la sua abbazia dovette essere per tre anni dispensata dal pagamento delle tasse e di altri contributi.

Un elemento su cui misurare l’influenza della scolastica nei monasteri cistercensi sarebbe il ritmo di sviluppo delle biblioteche monastiche. Infatti, disponiamo di un certo numero di cifre, però solo nel caso di Clairvaux esse portano a dati degni di fede, anche se la biblioteca di questa abbazia, tra le più grandi dell’Ordine Cistercense, non può essere giudicata come un caso unico. Verso la fine del secolo XII Clairvaux possedeva circa 350 codici, senza contare i libri liturgici. Verso la fine del secolo XIV il numero era divenuto di 850, alla metà dei XV era di 1.500 e raggiungeva quello di 1.714 nel 1472. Più di mille dei titoli di questa impressionante collezione corrispondono a libri esistenti e si rinvengono qua e là nelle biblioteche del mondo occidentale.

Nelle comunità più piccole il nucleo fondamentale della biblioteca era costituito dall’armadio, che spesso consisteva soltanto in una nicchia nel muro della sagrestia, ciò che è una chiara indicazione sul fatto che agli inizi i libri erano essenzialmente quelli liturgici. Dato però che l’orario quotidiano di ogni comunità prevedeva un tempo per la Lectio Divina, anche le biblioteche più piccole e più primitive dovevano avere almeno tanti libri quanti erano i monaci.

Come conseguenza dello sviluppo degli studi ben presto le biblioteche vennero ingrandite con l’acquisto di manuali di teologia e di filosofia, ed anche, spesso, con una collezione dei classici latini più conosciuti. Durante tutto il XV secolo il Capitolo generale ripetutamente incoraggiava gli abati ad organizzare e mantenere delle biblioteche ben provviste, perché questo genere di collezioni doveva essere considerato come il vero tesoro dei monaci (1454). Nel 1495 il Capitolo autorizzava l’abate di Fountains a sollecitare ogni casa di Inghilterra ad avere nella biblioteca, per uso del Collegio di Oxford, almeno da otto a dieci libri «buoni e decenti, degni di essere conservati nelle biblioteche».

Verso la fine del XV secolo, molte abbazie tra le più ricche aggiungevano alla pianta tradizionale degli edifici monastici un’ampia biblioteca, fornita di un imponente numero di manoscritti. Così, nel 1480, Cîteaux possedeva 1.200 codici; la costruzione di una biblioteca venne portata a termine alla fine del secolo, sotto l’abbaziato di Jean di Cirey. Un frammento di questa collezione, tanto ricca un tempo, è ancora rilevabile nella biblioteca municipale di Digione. Nel 145 3, la biblioteca di Himmerod contava più di 2.000 volumi e la costruzione della sua nuova biblioteca venne completata agli inizi del secolo XVI. Alla stessa epoca, la biblioteca di Lehnin, con i suoi 1.000 codici, era considerata la più grande nel Brandeburgo. Lo scriptorium di Heilsbronn era ritenuto uno dei più belli della Germania; più di 600 dei suoi volumi, copiati accuratamente su pergamena, sono ora in posssesso della università di Erlangen. Durante il XV secolo l’abbazia di Altzelle divenne uno dei centri principali degli studi umanistici in Sassonia, e conteneva nella sua biblioteca, sempre in aumento, un numero molto grande di classici latini. Oltre alla serie completa dei libri liturgici, l’abbazia possedeva, verso il 1514, 960 volumi. Dopo la soppressione di Altzelle nel 1540, la collezione passò ad arricchire la biblioteca dell’Università di Lipsia.

Nel Portogallo, l’abbazia di Alcobaça svolse un ruolo davvero unico nello sviluppo culturale del paese. Nel XIII secolo l’abbazia apriva un collegio a Lisbona e partecipava attivamente alla organizzazione della famosa Università di Coimbra. La biblioteca dell’abbazia era considerata come una delle più grandi del paese. Sebbene la sua ricca collezione sia stata depredata nel 1810 e poi ancora nel 1833, il catalogo della Biblioteca Nazionale di Lisbona conta ancora 456 manoscritti di Alcobaça, la maggior parte dei quali era stata copiata nel corso del XIII secolo.

Perfino le comunità più piccole erano fiere delle loro biblioteche, ben degne di rispetto; nel 1451 Zwettl, in Austria, possedeva almeno 500 libri; e Meaux, in Inghilterra, nel 1396 possedeva 350 volumi. Ma per apprezzare adeguatamente queste cifre è necessario ricordare che le più ricche biblioteche del tempo raramente eguagliavano la media di una biblioteca monastica. La famosa collezione di Carlo V di Francia, nel 1373, contava soltanto 910 codici; quella della famiglia De’ Medici a Firenze, solo un secolo dopo, possedeva 800 volumi.

L’Ordine fece subito uso della stampa, poco dopo la sua scoperta.

La prima tipografia cistercense venne aperta a Zinna, in Germania, nel 1492, e nel 1496 fu seguita, in Francia, dall’abbazia di “La Charité”. Nei secoli seguenti un certo numero di abbazie, fra le più grandi, gestiva regolarmente una tipografia e un negozio di stampe. La grande diffusione di materiale stampato richiese presto il ricorso a misure di controllo per prevenire la circolazione di libri e opuscoli di orientamento protestante. Per proteggere le monache, che erano considerate incapaci di riconoscere le tendenze teologiche delle loro letture spirituali, il Capitolo del 1531 proibiva il possesso di libri scritti in lingue vernacole e non in latino, ed anche questi ultimi richiedevano l’approvazione speciale delle legittime autorità.

Bibliografia

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L.J. Lekai, I Cistercensi. Ideali e realtà, VII, Certosa di Pavia, 1989.

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