Galgano, San |
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StoriaLa prima comunità monastica cistercense che si insediò su Monte Siepi risale agli anni 1181-1184, proveniente dalla abbazia di Casamari. Il documento pi antico di Enrico VI del 1191. Tra il 28 ottobre 1201, anno in cui per la prima volta si parla della chiesa di San Galgano, e l’11 dicembre 1205, anno del primo documento dove si parla dell’abbazia di San Galgano, l’insediamento da priorato passa ad essere abbazia. La prima comunità monastica abitava negli ambienti costruiti accanto alla Rotonda di Monte Siepi. Invece la costruzione dell’abbazia, nella pianura sottostante, fu iniziata nel 1218 ed i lavori, con alcune interruzioni, dovute a mancanza di fondi, si protrasse almeno fino al 1294. San Galgano ebbe tre secoli di grande vitalità ed una fattiva collaborazione con la repubblica senese fino ad oltre la metà del secolo XV. Nel 1497 fece parte della Congregazione di San Bernardo in Italia che proprio in quell’anno veniva costituita. Pochi anni dopo, nel 1503, Giulio II la concesse in Commenda al Cardinale Federico Sanseverino. Con questo avvenimento iniziano i tempi di decadenza per San Galgano e per la comunità monastica che si riduce notevolmente di numero. Si giunge così al 1652, anno in cui i cistercensi abbandonano San Galgano, in quanto Innocenzo X decretò con una bolla che i pochi monaci dell’abbazia fossero accolti in altri monasteri della Congregazione. Subito dopo il 1652 fu abitata per pochi anni dai Vallombrosani di Chiusdino e successivamente concessa ai Francescani che vi rimasero fino al 1712, quando il Cardinale Carlo Agostino Fabroni concesse ai Vallombrosani di Chiusdino l’ufficiatura della chiesa e l’uso del monastero. Nel 1729 vi furono introdotti i Minori Osservanti che andarono via nel 1786, quando la caduta del campanile e della volta della chiesa resero impossibile la continuazione della vita religiosa. Dopo quasi mezzo secolo di completo abbandono, divenne fattoria della famiglia Feroni, e nel 1884, i resti dell’illustre abbazia furono venduti al Marchese Ippolito Niccolini. Infine nel 1894 fu dichiarata monumento nazionale. Verso il 1930 alcuni Padri Carmelitani tentarono, per breve tempo, di ripristinare nell’antica abbazia la vita religiosa. Dal 1960 il P. Romualdo Gilli ha restituito vita alla Rotonda di Monte Siepi che stata eretta a parrocchia per i pochi abitanti del circondario. Per interessamento dello stesso P. Gilli, dopo opportuni restauri, dal 1967 al 1985 hanno abitato l’abbazia una comunità di monache benedettine olivetane olandesi. Attualmente un centro per il completo recupero di ex-tossico dipendenti. Lo stato attuale delle strutture presenta la Rotonda di Monte Siepi in piena efficienza e quasi completamente restaurata. Dell’antica abbazia rimasta la chiesa, sconsacrata, priva di pavimento e del tetto. Per il resto del monastero si possono ammirare ancora la sala capitolare e la sala dei monaci. Nel piano superiore l’antico dormitorio, trasformato già nel settecento, con singole celle ed un corridoio al centro. Tutto il resto dell’abbazia, compreso il chiostro scomparso. (Goffredo Viti) ArchitetturaDell’edificio chiesastico resta oggi un grandioso scheletro murario, costituito da archi, muraglie e pilastri. L’inizio della sua costruzione si fa risalire al 1224 in concomitanza con quella degli edifici monastici, e i lavori proseguirono poi per tutto il secolo, fino al 1288, anno della consacrazione. Il suo impianto presenta strettissima affinità, soprattutto dal punto di vista strutturale, con quello della chiesa di Casamari: pianta a tre navate (di 71 metri di lunghezza e 21 di larghezza), costituite da Otto campate rettangolari (una in più di Casamari), una successione di massicci pilastri a base centrale quadrata con riseghe e la medesima disposizione del transetto con entrambi i fianchi (est e ovest) delimitati da cappelle. Tutti gli elementi sono di influenza borgognona, a cominciare dalle prime parti edificate, cioè il braccio meridionale del transetto e i muri laterali del coro, fino alle estreme campate della navata maggiore; le coperture erano infatti a volta a crociera cordonata e tutti gli archi a sezione acuta. In queste parti infatti il materiale usato in preponderanza era il travertino, mentre nelle parti più occidentali esso era impiegato insieme alla pietra tenera e al mattone. Tali differenze tra le parti orientali e occidentali hanno indotto gli studiosi, soprattutto l’Enlart, a formulare l’ipotesi che la zona del coro fosse stata edificata sotto la direzione, se non di maestranze francesi, almeno delle stesse di Casamari. Soprattutto il presbiterio presenta infatti la stessa disposizione di aperture della chiesa laziale: due file di finestre, sormontate da un grande rosone e con capitelli dalla fattura assai simile. Nelle navate invece, in particolare nelle campate più occidentali, la costruzione è valutata dall’Enlart «meno perfetta», con i tratti di muratura più grossolani e le forme francesi contaminate dal gusto dell’arte locale, presentando affinità ad esempio i capitelli con quelli della cattedrale di Siena e la predilezione per finestre sovraccariche di decorazione e di ricchezza di trafori. Questo fatto è spiegabile con l’impiego, in una seconda fase costruttiva della chiesa, che si può far partire dal 1275, di maestranze locali, la cui collaborazione si traduce inevitabilmente in una promiscuità stilistica di elementi borgognoni e altri propriamente “italiani”, come bifore riccamente decorate e in genere una maggior preziosità di ornati, di modo che le forme che l’architettura francese aveva elaborato sviluppando i principi della lombarda, perdettero la loro intransigente rigidezza e si permearono dello spirito senese». Ritornando alla forma della chiesa essa presenta un transetto sporgente su cui si aprono due cappelle di forma quasi quadrata, per ciascun braccio; la particolarità qui è costituita, come già ricordato, dal fatto di avere cappelle anche sulla parte occidentale di tali bracci, raccordantisi con le campate delle navate laterali. Il coro è anch’esso pressoché quadrato, ma non rimane traccia della sua copertura, a differenza di quella delle cappelle, che presentano volte a crociera cordonata e chiavi di volta variamente incise. La facciata è completamente scomparsa nella sua parte superiore e ciò che resta è stato in parte rifatto con semplici mattoni nei restauri degli anni ‘20. La parte inferiore testimonia del suo primitivo stato: in essa si aprono tre portali di modeste dimensioni e dalla linea assai sobria; l’unico motivo di decorazione è costituito dall’architrave della porta centrale, che presenta un fregio curato e in rilievo adornato da foglie d’acanto a girali. Tale fronte non ebbe probabilmente mai un portico, anche se esso fu progettato, come si nota da quattro colonne aggettanti e dalla presenza di elementi, in facciata, pronti a ricevere le volte. Quando nel 1920 la Soprintendenza ai Monumenti di Siena si adoperò per approntare un progetto di consolidamento di ciò che restava dell’edificio, le conclusioni su come si presentava il fabbricato erano rallegrate solo dal fatto di avere i pilastri e gli archi longitudinali in buone condizioni statiche e delle fondazioni sicure. Il principio su cui si impostò il restauro fu quello di consolidare il monumento senza alterarne l’aspetto. Si cominciò così col puntellare i contrafforti lungo il lato nord, dove più accentuato era lo strapiombo, e si ricostruì poi la volta dell’ultima campata della navata laterale sinistra, dopo aver demolito quella pericolante. Ciò fu reso possibile con l’impiego dei vecchi materiali, cioè in laterizio sagomato, ma ad esso fu aggiunto anche del calcestruzzo e delle colate di cemento furono eseguite «a titolo di prova» in un tratto di muro presso il braccio nord del transetto. Si procedette quindi alla ricostruzione del terz’ultimo arco trasversale della navata sinistra presso il transetto, con l’adozione del sistema di collegamento delle pareti della navata centrale coi muri perimetrali, tramite arcate trasversali identiche per dimensioni e forma a quelle preesistenti. Tali arcate presentano, sopra, un muro a pendenza che sorregge il contrafforte esterno, e per serrare gli archi e neutralizzare le spinte, si congiunsero le due pareti con robuste catene di ferro. Queste arcate trasversali che collegano dunque i muri esterni con quelli della navata centrale ne assicurano le condizioni di stabilità senza alterare l’aspetto generale del monumento. Nella esecuzione dei lavori furono, per quanto possibile, impiegati i materiali vecchi trovati sul posto o nelle vicinanze e per quelli nuovi furono cercati i luoghi di provenienza di quelli usati dagli antichi costruttori. 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