Valvisciolo |
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StoriaNel 1165 Federico Barbarossa, in guerra col papa Alessandro III, devastò diverse città nel Lazio (tra cui Ninfa dove il pontefice era stato consacrato) e distrusse molti edifici religiosi: uno di questi fu l’abbazia cistercense di Marmosolio, intitolata a Santo Stefano. Secondo la tradizione la comunità di monaci bianchi, in una data imprecisata tra il 1166 e il 1168, fu cosi costretta a trasferirsi nel vicino monastero di San Pietro, nel territorio di Sermoneta, che divenne l’abbazia dei Santi Pietro e Stefano di Marmosolio, essendo stati aggiunti al titolo originale quelli dell’insediamento di provenienza. Il monastero era quindi già esistente all’arrivo dei Cistercensi, ma su chi ne siano stati i fondatori e sulla data di fondazione non si hanno notizie sicure: alcuni autori li identificano nei monaci Basiliani (in una data anteriore all’anno 1000), altri nei Templari (quindi dopo il 1128 anno in cui l’Ordine cavalleresco fu riconosciuto ufficialmente al Concilio di Troyes). Nel 1206 i Cistercensi chiesero al Capitolo Generale di restare nella nuova abbazia, nel 1312 vi si trasferì da Carpineto anche la comunità di Valvisciolo e proprio quest’ultimo nome sostituì nel tempo quello di Marmosolio, che scomparve. Nel 1411 Santo Stefano cadde in Commenda e vi restò fino alla metà del XIX secolo. Nel 1523 l’abbazia fu declassata a priorato da papa Clemente VII (forse per i pochi monaci presenti) e nel 1529 ridotta a priorato secolare, quindi i monaci bianchi non dovevano già più risiedervi. Tra il 1600 e il 1605 furono i Foglianti (Cistercensi riformati) a occupare il monastero che fu da loro tenuto ininterrottamente (tranne un breve periodo tra il 1619 e il 1635 in cui vi risiedettero i Minimi di S. Francesco da Paola) fino alla soppressione degli Ordini religiosi attuata da Napoleone tra il 1807 e il 18146. Nel 1864 papa Pio IX richiamò a Valvisciolo i Cistercensi di Casamari, nel 1870 il monastero fu nuovamente soppresso ma i monaci non lo abbandonarono anzi nel 1888 esso fu ricomprato dall’Ordine. Il complesso fu restaurato agli inizi del 1900 e a metà degli anni '50 quando venne anche ampliato e ancora oggi assolve la sua funzione abbaziale per una comunità di Cistercensi. ArchitetturaLa chiesa, di dimensioni modeste, è a tre navate di cinque campate, priva di transetto e con abside rettangolare affiancata da due cappelle quadrate. La divisione tra la navata principale e quelle laterali è affidata a pilastri rettangolari che sorreggono archi acuti mentre gli ambienti sono voltati con crociere lisce e le campate sono separate da arcate a tutto sesto. La parete di fondo dell’abside ha tre monofore con arco acuto e un oculo superiore, come si può vedere anche è Fossanova. Da notare ancora il diverso livello delle prime due campate che sono separate dal resto della chiesa con tre gradini. L’edificio mostra differenze nella tessitura muraria in varie parti: soprattutto in quelle absidale e orientale e nella facciata (a destra). Come detto precedentemente i monaci bianchi occuparono un monastero già esistente e lo modificarono, ma è sulla natura e quantità dei loro interventi (soprattutto nella chiesa) e sul fatto di riconoscere m Valvisciolo una pianta tipicamente cistercense che gli studiosi non concordano. Alcuni riconoscerebbero nel complesso i caratteri tipici delle costruzioni dell’Ordine di Cîteaux e considererebbero tutti gli interventi come opera dei Cistercensi. Altri sostengono che le differenze di tessitura sono i segni degli interventi dei monaci bianchi sull’edificio preesistente. C’e infine chi afferma che Valvisciolo fu costruita dai Templari e che ha solo caratteri cistercensi. BibliografiaMonasticon Italiae, I, Roma e Lazio, a cura di F. Caraffa, Cesena 1981, pp. 167-168, sch. 202. Foto |
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