I Cistercensi

Storia dell’Ordine cistercense

Da Molesme a Cîteaux

La storia della fondazione di Cîteaux non può essere esposta senza una presentazione previa del tentativo di riforma, fatto con la fondazione di Molesme nel 1075 da san Roberto. Fu a Molesme che un gruppo di monaci disillusi concepì l’idea di procedere ad un’altra fondazione, da realizzare dopo una migliore pianificazione e con migliori risultati, nel luogo impervio di Cîteaux.

I primi anni della vita di Roberto sono avvolti dall’oscurità e gli scarsi dettagli che si ritrovano nella sua Vita sembrano essere stati colorati molto dai ruoli che egli svolse più tardi a Molesme e a Cîteaux.

Roberto, era nato verso il 1028 in un paesino non identificato della Champagne. I suoi nobili genitori, Ermengarda e Teodorico, erano probabilmente parenti dei conti di Tonnerre e del casato di Rainaldo, visconte di Bearne. Roberto, negli anni della sua prima giovinezza, era entrato nell’abbazia di Montier-la-Celle vicino a Troyes, dove, qualche tempo dopo il l053, divenne Priore. Tra il 1068 e il 1072 svolse l’ufficio di abate a Saint-Michel-de-Tonnerre, una abbazia di osservanza cluniacense, nella diocesi di Langres.

Per ragioni ignote il suo servizio abbaziale fu bruscamente interrotto e Roberto ritornò a Troyes come semplice monaco. Tuttavia la sua permanenza nella comunità dove aveva fatto professione fu breve; dopo alcuni mesi venne nominato o eletto Priore a Saint-Ayoul, un priorato alle dipendenze di Montier-la-Celle, a Provins, nella diocesi di Sens. Ma questo posto si dimostrò ancora meno congeniale di Saint-Michel alla sua vocazione e nel 1074 si univa a un gruppo di eremiti nei boschi di Collan. Fu con la partecipazione di questi eremiti che Roberto fondò nel 1075 il monastero di Molesme, nella diocesi di Langres, in una proprietà ben adatta, donata a questo scopo da Ugo, Signore di Maligny.

Roberto aveva avuto una notevole esperienza di vita monastica. Sebbene insoddisfatto dalle strutture della disciplina cluniacense ed attratto dalla vita solitaria, come indica l’iniziativa intrapresa a Molesme, rimase fermo nella sua convinzione che gli esempi ascetici della vita del deserto, attualizzati e vissuti all’interno di una vita monastica, erano più fedeli all’ideale della vita religiosa. La sincerità evidente che lo muoveva attirò presto molti discepoli e, con il sostegno economico dei nobili del luogo, Molesme divenne una delle abbazie riformate meglio riuscite della fine dell’XI secolo. Di fatto, l’afflusso di nuove vocazioni e donazioni generose resero possibili molte fondazioni. Alcune erano solo dei piccoli eremitaggi, altre erano dei priorati dipendenti o delle abbazie. Verso il 1100 erano circa una quarantina, sparse in dodici diocesi.

La rapida crescita di questa nuova congregazione monastica attesta chiaramente il vigore e l’originalità delle intuizioni di Roberto, ma i problemi crescenti di organizzazione e di controllo superavano dì molto i talenti del santo fondatore.

Nel 1082 Molesme attraeva san Bruno e i suoi compagni, che vi trascorsero qualche tempo prima dì partire per le montagne di Grenoble, luogo di origine dell’Ordine dei Certosini.

Ma verso il 1090 lo stesso Roberto era giunto alla conclusione che il suo posto non era più nella sua abbazia e si unì a un gruppo di eremiti a Aux, vicino a Riel-les-Eaux. I monaci di Molesme, rimasti in difficoltà, ben presto riuscirono a persuaderlo e Roberto ritornò alla sua abbazia. Ma, se bisogna dar credito alla Vita, tempo addietro, quattro fra i più vicini collaboratori di Roberto, tra i quali Alberico e Stefano, avevano tentato un’altra fuga, dimorando per qualche tempo a Vivicus, una località peraltro conosciuta.

Questi incidenti poco fortunati non implicano necessariamente la decadenza morale di Molesme. La stima pubblica non ne risentì e l’espansione della abbazia sembra contraddire una supposizione di questo genere. Il problema fondamentale consiste nel fatto che il piccolo gruppo egli eremiti fondatori si trovò così schiacciato dalla quantità delle nuove vocazioni che perse il controllo della disciplina, e di conseguenza Molesme iniziò a rassomigliare sempre di più alle altre fiorenti abbazie, dei dintorni, tutte poste sotto la irresistibile influenza di Cluny, che Roberto di Molesme aveva appunto cercato di sfuggire. Verso gli anni 1090 Molesme aveva accumulato benefici ecclesiastici e decime, rendite di chiese, villaggi e servi, e l’abbazia stessa pullulava di servitori laici (famuli), di fratelli (conversi), di bambini (oblati) e di praebendarii, cioè di gente che offriva i propri beni all’abbazia in cambio di vitto è di alloggio per tutto il resto della sua vita.

Tutto questo rientrava normalmente negli schemi usuali delle tradizioni monastiche, ma era ben diverso dal sogno di Roberto, che desiderava separazione dal mondo e povertà, in una vita libera dalle preoccupazioni del mondo e dedicata soltanto al servizio di Dio.

Emersero conflitti a proposito di questi problemi e si accesero dibattiti ostili, con quell’amarezza che comportano talora le controversie di carattere religioso, protratte per anni. Se si può fare affidamento ai famosi cronisti della generazione successiva, Orderico Vitale e Guglielmo di Malmesbury, Roberto credette opportuno sostenere il valore delle proprie argomentazioni facendo frequenti allusioni alla Regola di san Benedetto, mentre la maggioranza dei monaci che gli erano ostili insisteva sulla legittimità delle usanze di Cluny e rifiutava le proposte dell’abate come se fossero delle novità pericolose e impraticabili.

Sembrò impossibile poter giungere a un compromesso durevole e valido, ma la polarizzazione delle posizioni contribuì a dar forma a un programma di riforma, che avrebbe potuto essere realizzato in seguito con risultati migliori di quelli ottenuti a Molesme. In tal mondo si approfondì nella mente dei futuri fondatori di Cîteaux l’intuizione di una totale fedeltà alla Regola, come possibilità alternativa, e questo andava di pari passo con una profonda diffidenza nei confronti di Cluny, insieme ad una acuta consapevolezza delle conseguenze poco felici che derivavano da un rapporto troppo stretto con la società feudale.

Alcuni dei monaci-eremiti si stancarono dei continui alterchi. Lasciarono Molesme per a fondazione di Aulps, un piccolo eremitaggio nella diocesi di Ginevra, che verso la fine del 1096 o all’inizio del 1097, venne eretto in abbazia. È significativo il fatto che il documento di erezione sottolineava la scelta dei monaci di consacrarsi ad una rigorosa osservanza della Regola di san Benedetto. Più importante ancora è il fatto che l’amanuense che redasse questo documento fu Stefano, il segretario di lingua inglese dell’abate Roberto, e il fatto storico veniva riconosciuto legalmente da alcuni testimoni tra cui Alberico, il Priore di Molesme, entrambi futuri abati di Cîteaux.

Fu probabilmente verso l’autunno dei 1097 che l’abate Roberto, accompagnato da un certo numero dei suoi monaci, tra cui Alberico e Stefano, fecero visita all’Arcivescovo Ugo de Die di Lione, legato pontificio in Francia e uno tra i più attivi sostenitori della Riforma Gregoriana. Davanti al prelato, pieno di comprensione, Roberto presentava il suo piano per una nuova fondazione, e ne dava come ragione principale l’osservanza tiepida e negligente della Regola, così come era vissuta a Molesme, mentre egli prometteva di “seguirla da allora in poi più strettamente e con maggiore perfezione”.

Ovviamente, Ugo ne fu impressionato, diede al progetto la propria benedizione, ed incoraggiò i latori della proposta a “perseverare nel loro santo proposito” e, dato che la cosa sembrava favorire la causa di entrambe le parti contendenti di Molesme, autorizzò Roberto e i suoi sostenitori a ritirarsi dall’abbazia e a stabilirsi in un altro luogo, dove essi avrebbero potuto “servire Dio in condizioni più pacifiche e in un modo più salutare”.

Roberto, vescovo di Langres, nella cui diocesi era situata l’abbazia di Molesme, non sembrava coinvolto nell’iniziativa. Ma probabilmente non desiderava immischiarsi molto in un problema che comportava delle conseguenze sconcertanti e non sembra che neppure l’abate Roberto considerasse necessario ottenere il suo permesso. I monaci di Molesme assistevano ai preparativi dei dissidenti con un sospiro di sollievo, e dopo la loro partenza elessero subito un nuovo abate nella persona di un certo Goffredo che venne installato debitamente dal Vescovo di Langres.

Agli inizi del 1098, 21 monaci si apprestarono a seguire Roberto nella proprietà di un Nuovo Monastero, donato a questo scopo da Rainaldo, visconte di Beaune, già parente e benefattore dell’abate. Sebbene egli fosse un vassallo dì Odone, duca della Borgogna, la terra che Rainaldo donava per la fondazione era di sua proprietà, una terra che non era gravata da tasse feudali o da servigi da rendere a terzi. Era collocata a circa venti km. a sud di Digione, in una zona molto boscosa che l’autore dell’Esordio di Cîteaux, prendendo a prestito una frase pittoresca del Deuteronornio (32, 10) dipingeva come “luogo orrido e di vasta solitudine”. Non v’è dubbio che quel piccolo gruppo di monaci-eremiti aveva scelto appositamente un luogo del genere, ma di fatto quella proprietà, situata nella diocesi di Chalon-sur-Saône, comprendeva alcuni contadini che dimoravano sul posto e molto probabilmente anche un’antica cappella, dove i nuovi arrivati potettero celebrare i loro primi uffici religiosi.

Il luogo aveva già un nome: Cîteaux (in latino, Cistercium) la cui etimologia veniva spiegata in diversi modi: il più probabile era in rapporto alla posizione geografica, dato che si trovava “al di qua della terza pietra miliare” (cis tertium lapidem miliarium) sulla antica strada romana tra Langres e Chalon-sur-Saóne. Per alcuni anni la nuova fondazione non venne chiamata con questo nome, ma la si conosceva semplicemente come Il Nuovo Monastero (Novum Monasterium). La data tradizionale della fondazione, scritta nei documenti più recenti, era quella del 21 marzo del 1098. Quell’anno ricorreva la Domenica delle Palme e la festa di san Benedetto: venne scelta più che altro per il suo significato simbolico e non per qualche altro particolare evento esterno, verificatosi nella dura vita quotidiana dei nuovi venuti, che si erano certamente insediati sul posto tempo addietro. È, possibile che sia l’erezione canonica in abbazia delle primitive costruzioni, sia il giuramento di obbedienza di don Roberto nelle mani di Walter, Vescovo di Chalon-sur-Saône o infine il voto di stabilità dei monaci nel Nuovo Monastero, menzionati nell’Esordio di Cîteaux, si siano svolti tutti in quella data, ma è più logico supporre che tutti quegli importanti atti giuridici abbiano avuto luogo nel corso dell’estate del 1098.

Roberto e i suoi compagni desideravano vivere una vita ascetica in povertà e in perfetta solitudine, procurandosi il necessario per vivere, con il proprio lavoro, come gli apostoli di Cristo. In questo non furono delusi, in quanto la loro sopravvivenza in quella foresta dovette di fatto essere ben dura. I primi mesi trascorsero senza dubbio nell’abbattere alberi, nel costruire alcuni ripari temporanei e nel piantare i raccolti necessari per l’autunno. Il ritmo quotidiano di preghiera e di lavoro manuale venne però ben presto disturbato dalle notizie che provenivano da Molesme.

I monaci dell’abbazia, che avevano preso con soddisfazione la partenza del loro instancabile abate, avevano cominciato a cambiare idea. La nobiltà dei vicinato, i cui familiari popolavano l’abbazia, era rimasta scandalizzata dai fatti turbolenti che si erano verificati nella comunità. Essi sospettavano che a Molesme si fossero introdotti dei gravi abusi e Molesme cominciò risentire le conseguenze di una opinione pubblica ostile.

Dal punto di vista di coloro che erano rimasti nell’abbazia, il modo più semplice per uscire dall’impaccio, come aveva dimostrato l’esperienza del passato, era quello di far ritornare Roberto a Molesme. Ma dato che non c’era speranza in un ritorno spontaneo di Roberto, i monaci mandarono una delegazione a Roma per chiedere a Papa Urbano Il di ordinare a Roberto il ritorno a Molesme. Fu allora, probabilmente, che si mise in discussione per la prima volta la legalità della partenza per Cîteaux. Il Papa non volle decidere la questione solo in base alle testimonianze di una parte ed affidò lo spinoso problema al suo legato in Francia, Ugo di Lione, suggerendo semplicemente che “se fosse possibile, l’abate venisse riportato dalla solitudine all’abbazia”.

Il legato dimostrò di provare un’uguale riluttanza nel giudicare personalmente la situazione e chiamò a consulta alcuni vescovi e molti altri uomini onorati e stimati. Il sinodo ebbe luogo probabilmente verso la fine di giugno del 1099, a Port-d’Anselle, dove il Vescovo di Langres prese le difese dei monaci di Molesme. Non era in discussione il rientro forzato di tutti i dissidenti, ma solo di Roberto.

Per facilitarne il ritorno, Goffredo, suo successore, offri le proprie dimissioni; dopo di che l’Arcivescovo Ugo dichiarò che l’abate Roberto doveva davvero far ritorno a Molesme. Simultaneamente venne dato il permesso di rientrare a Molesme a tutti coloro che, dal Nuovo Monastero, avessero voluto seguire Roberto, a patto che in futuro non si facessero tentativi per indurre i monaci a trasferirsi da una comunità all’altra. Nel caso in cui Roberto, nella sua abituale incostanza avesse lasciato la sua comunità, continuava il documento, Goffredo gli sarebbe succeduto sul seggio abbaziale senza procedere a una nuova elezione. Si permise al Nuovo Monastero di conservare la cappella dell’Abate Roberto, cioè, i paramenti della chiesa e i libri liturgici, ad eccezione di un prezioso breviario; ma per questo venne loro concesso il permesso di conservarlo fino alla festa della passione di san Giovanni Battista (29 agosto) per poterlo, nel frattempo, copiare.

Roberto accettò la decisione del legato senza nessuna resistenza esterna e, seguito dai monaci che erano più uniti a lui che a Cîteaux, fece ritorno a Molesme, dove riassunse i suoi compiti di abate e governò la comunità fino al 1111, anno della sua morte. La sua venerazione popolare come santo, venne riconosciuta ufficialmente con la sua canonizzazione, avvenuta nel 1220; nel 1222 il calendario cistercense designava il 29 aprile come giorno della sua festa. I contemporanei rimasero perplessi, comunque, davanti a questo improvviso cambiamento interiore di Roberto e al suo ritorno a Molesme, avvenuto “abbastanza volentieri”; come d’altronde, restano sconcertati gli storici moderni. Egli sicuramente doveva avere una settantina d’anni ed era quindi un anziano. Inoltre le durezze della vita del primo anno di Cîteaux devono essergli costate molto di più di quanto non fossero pesate ai suoi compagni più giovani.

D’altronde, doveva essere cosciente che la sua defezione avrebbe messo in pericolo la sopravvivenza del Nuovo Monastero, quella fondazione che egli stesso aveva progettato con cura e devozione. Il pericolo venne aumentato dal numero dei monaci che seguirono il suo esempio, forse la maggioranza dei 21 fondatori. Quest’ultima affermazione è convalidata dalla testimonianza di Guglielmo di Malmesbury, il quale, solo 25 anni dopo lo svolgimento dei fatti, asseriva nella sua cronaca (Gesta regum Anglorum) che “solo otto monaci erano rimasti a Cîteaux, dopo quell’esodo-a-rovescio”. Lo stesso autore, che si basa evidentemente su delle fonti cistercensi, è il primo ad esprimere il sospetto che Roberto si fosse inteso segretamente con i monaci a lui soggetti a Molesme, e che i delegati mandati dal Papa per domandare il suo ritorno avessero agito dietro il suo previo consenso. L’ordine dato poi successivamente dalle autorità lo avevano infatti trovato ben disposto (volentem cogentes).

Il risentimento che i Cistercensi portarono nei confronti di Roberto è rilevabile ancora verso il 1190, quando Corrado, monaco di Clairvaux e più tardi abate di Eberbach, compose il suo Grande Esordio, in cui rimproverava a Roberto la sua imperdonabile diserzione.

I primi elenchi egli abati di Cîteaux non portano neppure il suo nome. Questo atteggiamento, tuttavia, divenne causa di un tale disagio dopo la canonizzazione di Roberto che vennero poi fatti tutti gli sforzi possibili per reinserire o per cancellare i testi incriminatori. La restituzione del testo originale del Grande Esordio fu reso possibile soltanto nel 1908, dopo la scoperta fortuita di un manoscritto originale.

Poco tempo dopo la partenza dell’abate Roberto e di coloro che lo avevano seguito, con molta probabilità nel luglio del 1099, la piccola comunità del Nuovo Monastero elesse al suo posto Alberico, che aveva svolto l’ufficio di priore durante l’abbaziato di Roberto, ed era stato forse uno dei fondatori di Molesme. Doveva essere un uomo capace e di fermo carattere, deve essere attribuito a lui il consolidamento materiale e morale di Cîteaux. Dopo la donazione iniziale della proprietà per la nuova fondazione non fu più il Visconte di Beaune, ma piuttosto Odone, duca di Borgogna, e dopo la morte di questi, avvenuta nel 1102 in Terra Santa, il figlio Ugo, che venne in aiuto alle necessità materiali dei monaci. Odone assicurò ai monaci l’uso delle foreste dei dintorni e donò la proprietà di Meursault, che fu la prima delle molte vigne che Cîteaux giunse a possedere. Quando, per mancanza di acque sufficienti per i bisogni del monastero, Alberico rilevò che il luogo della prima collocazione era inadeguato e lo spostò a circa un chilometro più a nord, fu probabilmente Ugo che fornì il materiale necessario per la costruzione della prima chiesa in pietra di Cîteaux, consacrata poi da Walter, Vescovo di Chalon il 16 Novembre 1106 e dedicata alla Beata Vergine Maria; da allora prese inizio una ininterrotta tradizione cistercense di dedicare le proprie chiese a Maria.

Ancora più significativa fu la bolla di protezione papale che Alberico riuscì ad ottenere da Pasquale II non appena questi successe a Urbano II sul soglio pontificio. La richiesta di un documento del genere risultava di estrema importanza, a causa della posizione molto debole di Cîteaux e di fronte a delle pressioni ulteriori da parte di Molesme o altre abbazie ostili. Per ottenere con maggiore sicurezza ciò che richiedeva, Alberico sollecitò delle lettere di raccomandazione ai nuovi legati pontifici, i Cardinali Giovanni di Gubbio e Benedetto, i quali, attraversando la Borgogna, avevano visitato per caso Cîteaux. Lo stesso favore venne concesso anche da Ugo de Die, già legato pontificio, e da Walter, Vescovo di Chalon. Questi tre documenti, così come sono stati pubblicati nel Piccolo Esordio, non sembra che siano gli originali; comunque la missione a Roma dei due monaci delegati, Giovanni e Iboldo, ebbe certamente successo. La bolla di Pasquale II, pubblicata il 19 Ottobre 1100 e conosciuti nella storia di Cîteaux come il Privilegio Romano, ordinava che gli abitanti del Nuovo Monastero “dovevano essere sicuri e liberi da qualsiasi noia… sotto la protezione speciale della Santa Sede… salvo la sottomissione canonica dovuta alla Chiesa di Chalon”. Questo documento non può essere interpretato come l’inizio dell’esenzione di cui godranno in futuro i Cistercensi; comunque confermava sia la decisione di Port-d’Ansel, che la sua esistenza giuridica e l’indipendenza della abbazia; approvava, almeno implicitamente, la disciplina particolare seguita dai monaci ed assicurava loro quella libertà e sicurezza, indispensabili per la futura espansione.

Uno scambio di lettere tra Alberico e Lamberto, abate di Saint-Pierre de Pothières sembra indicare che il resto dell’abbaziato di Alberico fosse trascorso in una atmosfera tranquilla e di modesta prosperità. Alberico chiedeva, per lo scriptorium di Cîteaux, alcune precisazioni sull’accentuazione esatta e sul significato di alcune parole latine, e Lamberto rispondeva con un saggio erudito ed elaborato sulla materia.

Secondo una tradizione che data da tempo immemorabile, fu con Alberico che i monaci adottarono l’abito bianco, o piuttosto non tinto, sotto uno scapolare nero, e questo risponde al loro nome popolare: I Monaci Bianchi. Secondo il Piccolo Esordio, Alberico promulgò i primi “ statuti” del Nuovo Monastero. Tuttavia questo regolamento, costituito da quindici capitoli estremamente discussi di quel famoso resoconto, sembra essere soltanto frutto della congettura dell’autore, un membro della seconda generazione cistercense.

Dopo la morte di Alberico, avvenuta il 26 Gennaio 1109, i monaci elessero come loro abate il priore, Stefano Harding, un inglese, la prima persona che, nella storia dell’Ordine, può essere considerata inequivocabilmente come un genio creativo. Egli ereditava soltanto una delle innumerevoli abbazie riformate che godeva di una certa notorietà; egli lasciava dietro a sé il primo Ordine vero e proprio della storia monastica senza precedenti, fornito di un programma chiaramente formulato, tenuto insieme da una solida struttura legale e in via di espansione.

Stefano era nato da una famiglia di nobili anglosassoni verso il 1060 e da giovane aveva trascorso alcuni anni nell’abbazia benedettina di Sherborne nello Dorsetshire. Ma la conquista dei Normanni aveva rovinato la sua famiglia ed egli stesso dovette fuggire in Scozia e poi di lì in Francia. Aveva probabilmente completato la propria formazione a Parigi, e poi, con un compagno come lui profugo dall’Inghilterra, di nome Pietro aveva intrapreso un lungo pellegrinaggio verso Roma, dove si era fortificata la sua vocazione monastica. Sulla via del ritorno, la loro attenzione venne richiamata dal promettente tentativo di vita monastica intrapresa Molesme. Ne furono colpiti ed entrambi decisero di entrare in quella comunità. Verso quegli anni, era circa il 1085, Stefano era un giovane di grandi promesse. Da piccolo era stato segnato dalle ricche tradizioni monastiche celte e anglosassoni, riformate da san Dunstano (910-988) secondo i modelli della vita monastica cluniacense e lotaringia. La Francia gli aveva offerto la cultura più recente e lo aveva messo al corrente dei problemi contemporanei delle riforme monastiche ed ecclesiastiche. Durante il suo viaggio in Italia, dovette essere fortemente influenzato dallo spirito di san Pier Damiani, ormai predominante nella cultura dei tempo, ed anche impressionato dagli esempi di Camaldoli e di Vallombrosa. A Molesme aveva avuto l’opportunità di osservare il processo ed anche le cause della corruzione di un nobile progetto dovute ad una insufficiente organizzazione interna ed alla interferenza esterna. Quale abate di Cîteaux, Stefano era in grado di utilizzare la sua erudizione, la sua esperienza e la sua abilità organizzativa per assicurare il successo a Cîteaux, che fin da allora aveva soltanto cercato di trovare un posto al sicuro all’interno di una società monastica in piena evoluzione.

Grazie agli ottimi rapporti che Stefano aveva con i suoi nobili vicini, la prima espansione della proprietà di Cîteaux avvenne ben presto, sotto la sua amministrazione. Entro cinque o sei anni, i monaci avevano stabilito le loro prime “grange”: Gergueil, Bretigny e Gremigny, su terre donate in maggior parte dalla famiglia della Contessa Elisabetta di Vergy, che si dimostrò generosa amica dell’abate Stefano e dei suoi monaci. Gilly-les-Vougeot, luogo divenuto più tardi residenza estiva degli abati, venne donato da Aimon di Marigny. Dal 1115 i monaci cercarono poi di aggiungervi le famose vigne conosciute in seguito come Clos-de-Vougeot, che divennero probabilmente il pezzo più prezioso di terreno della Borgogna. Molte donazioni vennero fatte come libere elemosine. Tutti i diritti sulle decime che avevano i donatori furono o interamente sciolti o convertiti nel dono nominale e simbolico, annuale, di manipoli del raccolto di quelle terre.

Stefano era, di per sé, più uno studioso che un economista. La sua erudizione lo mise, in grado di intraprendere dei compiti che avrebbero messo a dura prova i talenti dei più moderni ricercatori. Memore delle referenze della Regola agli inni attribuiti a sant’Ambrogio, Stefano cercò di verificarne tanto i testi quanto le melodie: tutti gli inni che cantavano i suoi monaci erano autenticamente ambrosiani. Ben di più, esaminando le varianti testuali dei codici dell’Antico Testamento che aveva a sua disposizione, decise di correggere il testo originale della Volgata di san Girolamo. Per risolvere questi problemi fece ricorso a versioni ebraiche ed aramaiche, consultate con l’aiuto di alcuni eruditi rabbini. Grazie allo scriptorium di Cîteaux, altamente qualificato, non solo produsse lavori estremamente accurati e precisi, ma anche di una sorprendente bellezza. Le miniature della sua Bibbia e dei libri Moralia in Job (di san Gregorio Magno) entrambi scritti e miniati durante i primi tre anni del suo abbaziato, furono le produzioni più originali dell’intera epoca e dimostravano che in quegli anni Cîteaux accoglieva alcuni tra i più grandi artisti di Francia.

Senza dubbio, l’emergere di Cîteaux dall’oscurità fino a raggiungere una posizione di rilievo e la personalità seducente di Stefano attrassero numerosi discepoli, e verso il 1112 si profilava il progetto di una nuova fondazione, che si concretizzò quando nel maggio del 1113 un gruppo di monaci si stabilì a La Ferté, a sud di Cîteaux, sempre nella diocesi di Chalon-sur-Saône. In quel tempo la seconda abbazia era divenuta indispensabile perché, come dichiara con molta gioia il documento di fondazione “c’era a Cîteaux un tal numero di fratelli che né i beni esistenti erano sufficienti per provvedere a tutti né il posto dove vivevano si dimostrava adatto e conveniente per loro”.

L’immagine dello sviluppo e della prosperità è naturalmente molto diversa da quella che l’autore del Piccolo Esordio cercò di tramandare ai posteri. Verso la fine di questo racconto, appena prima di riferire l’arrivo del giovane Bernardo e dei suoi compagni, lo scrittore presenta Stefano e i suoi monaci “in preghiera, in grida e in lacrime davanti a Dio, in gemiti e sospiri e in ansia, di giorno e di notte, quasi al limite della disperazione, per il fatto dì non avere quasi nessuno che succedesse a loro”. Lo scrittore di queste righe è stato evidentemente influenzato dalla fama che più tardi riscosse san Bernardo ed ha fatto del suo meglio per dimostrare che Cîteaux non avrebbe potuto sopravvivere senza il suo trionfale arrivo, sullo sfondo di questa scena drammatica. Successivamente si è tentato di alterare la data dell’entrata di Bernardo a Cîteaux per la stessa intenzione e vi sì riuscì a tal punto, che, fino alla pubblicazione degli studi di A.H. Bredero nel 1961, la maggior parte degli studiosi moderni credeva che Bernardo fosse entrato a Cîteaux nell’aprile del 1112, mentre i primi manoscritti della Vita Prima indicano chiaramente il 1113 quale data di questo evento memorabile. Una tale frode devota intendeva dimostrare che la fondazione di La Fertè era stata resa possibile solo dall’arrivo di Bernardo. è plausibile che la fondazione di La Fertè fosse accelerata in previsione dell’arrivo dei nuovi candidati. Il fatto che le fondazioni successive vennero realmente realizzate sotto l’impatto del movimento di massa che aveva luogo in direzione di Cîteaux e di Clairvaux, iniziato da san Bernardo, resta, naturalmente, un fatto incontestato.

A La Ferté fece seguito nel 1114 Pontigny nella diocesi di Auxerre; Clairvaux venne fondata dal venticinquenne Bernardo nel 1115, e nello stesso anno iniziò la vita a Morimond, nella diocesi di Langres. Dopo una pausa di tre anni seguirono, in rapida successione, Preuilly, nel 1118, e poi La Cour-Dieu, Bouras, Cadouin e Fontenay, tutte nel 1119. Fu in questo stesso anno che l’abate Stefano ritenne opportuno rivolgersi a Callisto II, recentemente eletto papa, per chiedergli una nuova bolla in favore di Cîteaux e delle sue case-figlie. Il Papa, già arcivescovo di Vienne, conosceva bene Cîteaux, ed aveva anzi sostenuto la fondazione di Bonneval di fronte all’opposizione dei benedettini. Nel nuovo documento, pubblicato il 23 Dicembre del 1119, egli si congratulava con Stefano e con i suoi monaci e “apponeva un segno di conferma all’opera di Dio a cui essi avevano dato inizio”. Il testo fa dei riferimenti espliciti a certi capitoli e costituzioni promulgati dopo “deliberazione e consenso degli abati e dei fratelli dei vostri monasteri” tutti rivolti all’osservanza de la Regola del beato Benedetto”. “Noi, perciò” concludeva il Papa “rallegrandoci nel Signore per il vostro progresso, confermiamo questi capitoli con l’autorità apostolica, così come confermiamo anche le costituzioni, e decretiamo che per sempre rimangano in vigore”.

Questa seconda bolla, nella storia di Cîteaux, è un’altra pietra miliare sulla via che conduce dagli inizi difficili al successo riportato in seguito. Verso il 1191 l’esistenza di un certo numero di abbazie figlie richiedeva che si prendessero delle misure per salvaguardare la coesione del nuovo “ordine”, compresa la formulazione di regole e regolamenti che dovevano essere osservati da tutte le case. Questi obiettivi vennero raggiunti dopo ripetute consultazioni degli abati e dei monaci; presero la forma di una costituzione di un complesso di regolamenti che poi venne presentato ed approvato dal Papa. Se la bolla avesse conservato i testi presentati all’esame del Sommo Pontefice, il compito degli storici teso a ricostruire l’immagine del primo Cîteaux sarebbe infinitamente più semplice di quanto non possa esserlo ora. Il contenuto dei regolamenti del primo Cîteaux così come le prime costituzioni restano oggetto di discussione; non solo, anche gli stadi del loro sviluppo continuano a imbarazzare gli storici che sì dedicano all’esame accurato dei manoscritti disponibili.

Bibliografia

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L.J. Lekai, I Cistercensi. Ideali e realtà, II, Certosa di Pavia, 1989.

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