I Cistercensi

Storia dell’Ordine cistercense

San Bernardo e la diffusione dell’Ordine

È comunemente accettato che le vocazioni religiose erano abbondanti nella così detta “età della fede”. La prima metà del dodicesimo secolo si distingue, perfino nel Medio Evo, come epoca unica nel suo genere per l’entusiasmo devozionale, quando la vita monastica divenne un movimento di massa dalle proporzioni senza confronto. Come in casi analoghi, ad esempio le Crociate, non ci sono spiegazioni razionali per comprendere fino in fondo il motivo per cui migliaia e migliaia di uomini si dimostrarono disponibili ad abbandonare il mondo per cercare Dio tra le mura di istituzioni dove ogni cosa era prevista per offrire ampie opportunità di condurre una esistenza di austerità eroiche.

Anche i contemporanei erano perfettamente coscienti di ciò che stava succedendo, sebbene, alla ricerca dei motivi profondi, fossero sconcertati quanto noi. Orderico Vitale, citato già più volte, osservava: “Sebbene il male abbondi nel mondo, la devozione dei fedeli nei chiostri cresce e si sviluppa con maggiore abbondanza e porta frutti al cento per uno nei campi del Signore. Ovunque, nelle vallate, nelle montagne o in pianura, si trovano monasteri che seguono riti nuovi o portano abiti diversi; gli sciami dei monaci incappucciati si diffondono in tutto il mondo”. Fonte di altrettanto stupore era per l’autore il fatto che era l’ordine più austero, quello dei Cistercensi, quello che viaggiava di più e si estendeva più lontano: sembrava che il richiamo dei Monaci Bianchi penetrasse attraverso tutte le barriere sociali e intellettuali: “Molti nobili, guerrieri e profondi filosofi sono accorsi alle loro file a causa della novità delle loro osservanze, ed hanno spontaneamente abbracciato l’inusitato rigore della loro vita, cantando volentieri inni di gioia a Cristo nel loro viaggio lungo il retto cammino”. Un contemporaneo di alcuni anni dopo, il Vescovo Otto di Bamberga (1063-1139), che assisteva e promuoveva lo sviluppo del monachesimo, cercò di razionalizzare questo fenomeno con un argomento che ci è stranamente familiare, sebbene fosse allora un po’ prematuro: “Agli inizi del mondo, quando gli uomini erano pochi, era necessario la propagazione dell’umanità e quindi gli uomini non furono casti. Ora, invece, alla fine del mondo, quando gli uomini si sono moltiplicati senza misura, è il tempo della castità: ed è questo il motivo per cui io desidero e spiego la moltiplicazione dei monasteri”.

Non c’è dubbio che in quelle circostanze, Cîteaux era quasi obbligato ad avere un gran successo. Il suo programma ascetico era quasi il compendio di ciò che i contemporanei attendevano; era organizzato sotto una guida autorevole capace e ispirata, e le strutture costituzionali assicuravano la coesione interna dell’Ordine nel momento in cui si diffondeva oltre i confini della Borgogna. Le congregazioni nascenti di Grandmont, Savigny, la Grande Certosa e quelle di molte altre riforme simili erano in piena fioritura, sebbene con strutture potenzialmente più povere di quelle di Cîteaux. Il sorprendente evento che l’Ordine di Cîteaux in un certo senso esplose all’epoca e giunse a possedere circa 350 case in ogni paese d’Europa verso la metà dei dodicesimo secolo, si spiega soltanto, comunque, grazie alla personalità dinamica e all’attività dell’uomo del secolo, san Bernardo di Clairvaux. La nozione volgarmente diffusa che ritiene san Bernardo quale vero fondatore dell’Ordine è una esagerazione perdonabile, come il fatto che per secoli i Cistercensi furono universalmente conosciuti come “Bernardini”, senza altra aggiunta.

Bernardo nacque nel 1090, a Fontaines, da una nobile famiglia della Borgogna, vicino a Digione. Dopo la sua educazione in seno alla sua famiglia, profondamente religiosa, Bernardo venne mandato a Chátillon per gli studi veri e propri, alla scuola dei Canonici di San Vorles. Tornato a casa, viveva come i suoi giovani contemporanei con i fratelli più anziani di lui, ma, ragazzo silenzioso e riservato, decise presto che il suo posto era a Cîteaux, già ben conosciuto nei dintorni. Non appena fu certo della propria vocazione, si mise a convincere tutti i suoi fratelli, i parenti più stretti e gli amici perché si unissero alla sua scelta, alla sua santa e lodevole impresa. Fu quella la prima occasione in cui dimostrò di essere un leader nato, con una volontà incrollabile e un irresistibile fascino personale. Nella primavera del 1113, egli insieme ai suoi compagni, chiese di essere ammesso a Cîteaux. L’austera formazione religiosa ricevuta in monastero, non cambiò il suo carattere. Al contrario, Bernardo trovò in Cîteaux l’ambiente che gli era più congeniale, per il suo temperamento spirituale, e a sua volta, Bernardo dimostrò di essere l’interprete più eloquente e più efficace del messaggio che Cîteaux recava al mondo. Stefano Harding abate di Cîteaux, riconobbe in lui un genio mandato da Dio e nel l115 il giovane venticinquenne diveniva fondatore e abate di Clairvaux. Le prove e le difficoltà dei fondatori di Cîteaux furono rivissute nei primi anni della fondazione di Clairvaux, ma la fede e la decisione di Bernardo rimasero inflessibili. Lo spirito eroico dell’abate attirò tante vocazioni che nel giro di soli tre anni Clairvaux poteva fondare la prima casa-figlia, Trois-Fontaines.

La fama della santità di Bernardo e della sua sapienza ben presto si diffuse in tutta la Francia con la comparsa dei suoi primi scritti e, sebbene egli non si desse mai pensiero della pubblicità che si faceva su di lui, si trovò ad essere ben presto al centro dell’attenzione di un’epoca che cercava disperatamente una autorità abile e competente. Era quello un tempo di agitazione politica per tutta l’Europa centrale e occidentale. In Germania, il potente Enrico V, ultimo membro della dinastia sàlica, moriva nel 1125 senza lasciare eredi ed il paese si divideva tra i partigiani delle due famiglie contendenti, i Guelfi e i Ghibellini. Perturbazioni analoghe sorsero in Inghilterra dopo il regno di Enrico I, mentre l’erede di Francia, il giovane re Luigi VII era ancora troppo giovane e privo di esperienza per assumere il compito svolto dal padre. Nel frattempo in Italia, le città potenti e le famiglie più influenti, approfittando della impotenza dei loro vicini del Nord, riprendevano di nuovo i loro sanguinosi antagonismi. Quanto a Roma, il papato cadeva vittima dei partiti opposti, producendo nella Chiesa un pericoloso scisma. Alla morte di Onorio II nel 1130, le due fazioni opposte eleggevano nello stesso giorno due papi, Innocenzo II e Anacleto II. Il mondo cristiano, sgomento e confuso, era totalmente incapace in quel momento di affrontare il problema; l’unico in grado di restaurare l’ordine a Roma sarebbe stato Ruggero II di Sicilia, che, tuttavia, stava approfittando dell’occasione per estendere i confini del suo nuovo regno.

Una riunione del clero e della nobiltà di Francia a Etampes affidò la decisione di questa questione cruciale a san Bernardo, che si espresse in favore di Innocenzo II. Molto più difficile era risolvere le ramificazioni politiche della doppia elezione, e soprattutto quella di convincere le potenze opposte a riconoscere all’unanimità l’elezione di Innocenzo, trascinando via l’usurpatore dalla sua roccaforte romana. Ci vollero otto anni di viaggi faticosi, di conferenze, di incontri pubblici e privati, centinaia di lettere per raggiungere lo scopo. Durante tutti questi anni san Bernardo rimase letteralmente al centro della politica europea, sebbene egli non agisse mai semplicemente e unicamente come un diplomatico. Egli non scelse e non usò giammai né minacce né forza, e neppure accondiscese a compromessi. Il segreto del suo successo consistette nella sua superiorità morale, nel suo generoso disinteresse e nel potere magico della sua personalità. D’altra parte, il fatto che tutto il mondo europeo obbedisse al povero ed umile abate di Clairvaux sta ad indicare un’epoca in cui gli ideali morali prevalevano ancora sulla violenza brutale.

Il culmine della carriera terrena di san Bernardo venne raggiunto quando uno dei suoi figli, già monaco di Clairvaux, venne eletto papa: Eugenio III (1145-1153). Per ordine di questo papa, il santo iniziò nel 1147 la seconda crociata. Con la sua predicazione, egli infiammò centinaia di migliaia di persone, perfino quando la sua lingua non era compresa. Le sue parole cariche di forza e la sua personalità irresistibile operarono meraviglie in un altro campo della sua attività, tra gli eretici manichei della Germania e della Francia. Il Sud della Francia era sull’orlo di una aperta rivolta contro la Chiesa; e tuttavia san Bernardo, nella sua convinzione profonda che “la fede è una questione di persuasione, non di costrizione”, si rifiutò di sostenere la realizzazione di misure violente di repressione. La sua missione ebbe un effetto soltanto temporaneo, ma i suoi sermoni e i suoi miracoli suscitarono una enorme impressione. Non tanto per la sua eloquenza quanto per la sua capacità di penetrazione e la sua erudizione profonda, Bernardo lottò con successo contro gli errori dottrinali del tempo, soprattutto contro Abelardo e più tardi, contro Gilberto de la Porrée.

L’attività pubblica di san Bernardo non si limitò a questi problemi di importanza politica ed ecclesiastica. Da quando egli aveva circa trent’anni, la sua persona e le sue lettere, scritte in un latino magistrale, erano là dovunque le necessità del tempo, della pace, della giustizia o gli interessi della Chiesa esigevano il suo intervento. L’Ordine Cistercense si sviluppò e si estese di pari passo con l’estensione della sua fama e della sua popolarità. I suoi biografi sottolineano che il potere della sua eloquenza era tale che “le madri nascondevano i loro figli e le mogli i loro mariti” per tenerli in salvo dalle …campagne di reclutamento del santo, che portava sempre un afflusso incessante e sovrabbondante di vocazioni alla sua amata Clairvaux. Questa abbazia, da sola, fondò 65 abbazie durante la vita di san Bernardo. Alcune altre abbazie erano quasi altrettanto feconde di Clairvaux e la Francia ben presto fu arricchita con circa duecento monasteri cistercensi. Non tutte queste abbazie, evidentemente, erano fondazioni del tutto nuove. Un movimento quasi ugualmente irresistibile trascinava molti monasteri già esistenti verso l’area di influenza cistercense. Così, ad esempio, nel 1147, sono state registrate 51 abbazie, ma 29 di queste appartenevano alla congregazione riformata di Savigny mentre alcune altre erano membri di organizzazioni minori, sotto la guida dei monasteri di Obazine e di Cadouin. In questo periodo i Monaci Bianchi erano ben lanciati per oltrepassare i confini della Francia e per stabilirsi in modo permanente in altri paesi dell’Europa cristiana. Riforme monastiche precedenti, compresa quella di Cluny, si erano limitate molto ai paesi in cui erano sorte, sia perché i loro programmi non avevano una risonanza capace di suscitare richiami universali, sia perché esse non erano in grado di controllare effettivamente un gran numero di abbazie-figlie distanti geograficamente. Per la prima volta nella storia della Chiesa, Cîteaux spezzò queste barriere fino allora insormontabili e divenne il primo ordine religioso realmente internazionale.

Fin dal 1120 un gruppo di monaci dell’abbazia de La Ferté attraversarono le Alpi e fondarono Tiglieto, in Liguria. La stessa casa, la Ferté, fu responsabile della fondazione di Locedio (1124) nella diocesi di Vercelli e molto più tardi (12 10) di quella di Barona. Tiglieto divenne casa madre di Staffarda (1135) e di Casanova (1150) nella diocesi di Torino. L’abbazia francese di Morimond fondò in Italia Morimondo Coronato (1136) nella Lombardia; ma molto più numerose furono le fondazioni in Italia ad opera di Clairvaux, fatte nella scia dei viaggi di san Bernardo attraverso quel paese. L’abbazia di Chiaravalle vicino a Milano (1135) e quella di Chiaravalle della Colomba (1136) nella diocesi di Piacenza divennero a loro volta case madri di altre numerose fondazioni realizzate in tutta la penisola. I Cistercensi inoltre riformarono un certo numero di monasteri già esistenti, come l’antico convento dei Santi Vincenzo e Anastasio a Roma, conosciuto più tardi come abbazia delle Tre Fontane e donato a san Bernardo da Innocenzo II. Il primo abate cistercense di questo monastero, Bernardo Paganelli di Pisa (1140) amico personale e discepolo del santo, divenne il primo Papa Cistercense, Eugenio III (1145-1153). Un’altra conquista cistercense che giocherà in futuro un ruolo significativo, fu quella di Casamari, a sud di Roma (1140), una abbazia che già era stata benedettina e sarà casa madre di Sambucina (1160), Matina (1180), San Galgano (1200) e Sagittario (1202). Il numero totale delle abbazie cistercensi in Italia raggiunse il n. di 88 (fino alla metà del secolo XIV).

I Cistercensi in Italia meridionale e in Sicilia godettero del favore dell’imperatore Federico II (1212-1250), ma le agitazioni senza fine che seguirono alla sua morte segnarono la fine della prosperità e della espansione. L’Italia, infatti, fu il luogo dove si aprì la prima incrinatura nella stretta organizzazione dell’ordine cistercense. Gli scismi cominciarono a verificarsi in Calabria, dove particolarmente forti erano le tradizioni eremitiche e gli influssi dell’ascetismo orientale, in un momento in cui le fiorenti comunità cistercensi non sembravano più in grado di soddisfare coloro che aspiravano a grandi austerità. L’iniziatore del movimento resta una delle personalità più caratteristiche ed enigmatiche della storia religiosa medioevale, Gioacchino da Fiore (1130-1202). Da giovane, fece un pellegrinaggio in terra santa e al suo ritorno entrò nella comunità cistercense di Sambucina, e più tardi in quella di Corazzo, di cui divenne abate verso il 1177. Nell’attesa esplicita e diretta della venuta del nuovo regno dello Spirito, uscì dall’Ordine e nel 1189 diede inizio a San Giovanni in Fiore ad una nuova comunità, consacrata alla totale rinuncia al mondo. Ben presto sorse una nuova federazione di alcune case, che Celestino III approvò nel 1196. Verso la metà del secolo tredicesimo la Congregazione Florense contava circa una quarantina di case. Essi avevano adottato alcuni elementi esterni dei Cistercensi, ma la loro spiritualità faceva presentire i francescani. La loro rapidissima crescita fu seguita da un altrettanto rapido declino. Alla fine molte di quelle case, incluso S. Giovanni in Fiore, fecero ritorno all’ordine cistercense.

La prima comunità cistercense in Germania venne fondata dai monaci di Morimond, che nel 1123 aprirono Camp (Altenkamp) vicino a Colonia. Questa abbazia ebbe tanto successo che il numero molto grande dei suoi monaci rese possibile la realizzazione di molte fondazioni, una dopo l’altra: Walkenried a Brunswick (1129), Volkenrode in Turingia (1131), Amelunxborn vicino a Hildesheim (1135), Hardehausen in Westfalia (1140) e Michaelstein nella diocesi dì Halberstadt (1146). Le filiazioni di Morimond restavano solidissime nel nord e nel nord-est, Clairvaux diffondeva le sue case figlie lungo il Reno, nei Paesi Bassi e in Baviera. I monaci di Clairvaux fondarono Eberbach a Nassau (1131), Himmerod nell’elettorato di Trier (1134), la grande abbazia de “Le Dune” (Ter Duinen) nelle Fiandre (1149) e più tardi Klaarkamp a Friesland (1165). Verso la fine del secolo dodicesimo la valanga delle case cistercensi copriva le terre della Germania, ma i Monaci Bianchi seguirono l’espansione tedesca verso la Prussia, lungo le coste del Mar Baltico, per tutto il secolo tredicesimo. L’ultima e più lontana abbazia a nord-est fu Falkenau, nella Livonia, vicino a Dorpat (1234).

La prima abbazia cistercense in Svizzera fu Bonmont (1131), già abbazia benedettina. Seguirono poi Montheron (1135) e quindi Hauterive (1137), anche se le case più grandi fra le otto abbazie svizzere fondate dai Cistercensi furono le ultime due: Sant’Urbano (1195) e Wettingen (1227).

La prima fondazione in Austria fu quella di Rein (1130), per opera dei monaci bavaresi di Ebrach; ma un futuro più glorioso era riservato alla abbazia di Heiligenkreuz (1135), vicino a Vienna, fondata direttamente da Morimond. Tutte e due queste comunità furono attive nella diffusione dell’Ordine; i monaci di Heiligenkreuz edificarono la prima abbazia ungherese, Cikador nel 1142. Il totale delle abbazie cistercensi nelle terre della Germania ammontava a circa un centinaio.

Waverley, la prima fondazione inglese, venne realizzata nel 1129 ad opera dell’abbazia francese di l’Aumóne; ebbe un certo successo, ma non si distinse in modo particolare. L’erezione di Rievaulx (1132) e Fountains (1135), entrambe nello Yorkshire, creò una popolarità così largamente diffusa in favore dei Cistercensi che, per i successivi vent’anni, le più grandi famiglie del paese gareggiavano l’un l’altra per ottenere la grazia di una fondazione cistercense nei loro territori.

La storia della fondazione di Fountains presenta tutti gli elementi di tensione, suspene e minacce di violenza che avevano preceduto il distacco dei monaci dissidenti da Molesme a Cîteaux; soltanto i nomi erano diversi. Di fatto, le recenti analisi storiche sulle fonti della fondazione di Fountains hanno fatto nascere l’ipotesi che il parallelo poté essere una scelta intenzionale dell’autore, Ugo di Kirkstall; quindi alcuni dettagli del dramma (come nel caso di Cîteaux) apparterrebbero più al campo della letteratura che della storia. Se fosse così, la ribellione sarebbe scoppiata nella abbazia di Santa Maria nello York, dove circa tredici monaci fervorosi, rifacendosi all’esempio dei Cistercensi, chiesero la ripresa rigorosa di una disciplina ormai rilassata. L’Arcivescovo Thurstano di York prese le parti dei riformatori i quali, dopo un confronto un po’ acceso con la riluttante maggioranza, si allontanarono, sotto la guida del Priore Riccardo. Thurstano diede loro una località dove sostare presso Ripon, e là quel piccolo gruppo di gente eroica bivaccò per alcuni mesi nell’inverno 1133-1134 sotto un grande olmo. Essi elessero Riccardo come abate ma rimasero una comunità senza abbazia e senza una affiliazione ben precisa. Rivolgendosi a san Bernardo, che aveva seguito le loro lotte con gran simpatia, furono ricevuti dal santo nella famiglia di Clairvaux e si mandò loro uno dei monaci più esperti perché fossero iniziati alle osservanze cistercensi. Con l’aiuto di benefattori generosi potettero costruire ben presto la grande abbazia di Fountains, che, ancora nelle rovine attuali, resta un segno glorioso della fede dei suoi costruttori.

Fountains attirò alcuni degli ecclesiastici più eminenti di Inghilterra: ma la potenza di reclutamento di questa abbazia venne oscurata dalla crescita straordinaria di Rievaulx. Il terreno della abbazia, vicino a Helmsley, una cinquantina di chilometri a nord di York, venne regalato da Walter Espec, un anziano cavaliere di grande pietà che, non avendo eredi dopo la sua morte, poté permettersi di essere generoso verso i Cistercensi; insieme ad altre iniziative simili, finanziò nel 1135 la fondazione di Warden nello Bedfordshire. Egli rimase nella memoria dei monaci di Rievaulx come un “uomo anziano, acuto di ingegno, di grande statura, eppure di bella proporzione nei suoi arti; nero di capelli, con una lunga barba, una fronte spaziosa e degli occhi grandi, penetranti; la sua voce era come uno squillo di tromba”. La fondazione presso il fiume Rye fu preparata con molta cura dallo stesso san Bernardo, che rinviò alcuni dei suoi più promettenti discepoli inglesi, come pionieri, nella loro terra. Fu l’esempio di Rievaulx a rivoluzionare l’abbazia di Santa Maria di York, ma quel monastero divenne presto una vera e propria calamita sotto l’autorità di un giovane di nome Elredo, che entrò in comunità verso il 1134. Nato nel 1110 da genitori inglesi, educato alla corte del re Davide I di Scozia, come compagno dei principi, il fascino del giovane Elredo, i suoi doni eccezionali e la sua preziosa erudizione gli avevano aperto le più alte posizioni nella Chiesa e nel Regno; ma da una visita occasionale alla abbazia di Rievaulx, fondata da poco, fu conquistato per sempre dagli ideali di Cîteaux. Sotto l’abbaziato di William svolse il servizio di maestro dei novizi, e quindi nel 1143 divenne abate della nuova fondazione di Revesby nello Lincolnshire e da ultimo, nel 1147 successe a Maurizio di Durharn quale terzo abate di Rievaulx, carica che ricoprì fino alla morte, avvenuta nel 1167.

Sant’Elredo, chiamato appunto il “san Bernardo del Nord”, è una delle figure più commoventi della storia monastica. Egli non poteva uguagliare la grandezza di un san Bernardo per capacità politiche o di riforma, ma era alla sua stessa altezza per ciò che riguardava la tenerezza piena di compassione e comprensione per gli uomini, in qualsiasi condizione si trovassero. Grazie ai suoi scritti, segnati da una grande profondità e pietà, ma ancor più grazie ai suoi contatti personali, attirò a Rievaulx un numero senza pari di vocazioni. È forse una esagerazione del suo biografo, l’affermazione che durante il suo governo l’abbazia contò 650 tra monaci e fratelli conversi; ma l’immagine della chiesa abbaziale “ricolma di monaci come un alveare di api”, deve aver lasciato una impressione indimenticabile ai visitatori. Walter Daniel discepolo e biografo del santo, testimoniava: …“monaci bisognosi di misericordia e di compassione accorrevano a Rievaulx dai paesi stranieri e fin dagli estremi confini della terra, perché in quel luogo essi potevano realmente trovare quella pace e santità senza le quali nessun uomo può vedere Dio. E così quei vagabondi di tutto il mondo che nessuna casa religiosa accoglieva, venivano a Rievaulx, madre della misericordia, e vi trovavano le porte aperte e vi potevano entrare liberamente, rendendo grazie al loro Signore”. Quando Elredo morì, il momento più alto della espansione dei Cistercensi in Inghilterra era già passato, ma Rievaulx aveva fatto già cinque fondazioni, Fountains otto, ciascuna delle quali aveva a sua volta dato origine a un gran numero di monasteri, tanto che alla fine, Inghilterra e Galles insieme contavano 66 abbazie, 13 delle quali avevano fatto parte precedentemente della congregazione di Savigny.

Nel paese del Galles, i Cistercensi furono i benvenuti, perché erano considerati francesi più degli Anglo-Normanni. Infatti, la maggioranza delle 14 case del principato erano popolate direttamente dalla Francia, sebbene quelle della regione costiera, le “Marches”, avessero forti legami con l’Inghilterra, come ad esempio Tintern, fondata da l’Aumóne nel 1131. Invece Whitland (1140) favorita dalla più alta nobiltà del Galles e popolata con monaci di Clairvaux, era totalmente gallese e ben presto divenne casa madre delle altre abbazie corregionali di Cwmhir (1143), Strata Florida (1164) e Strata Marcella (1170). Tutte queste abbazie soffriranno molto durante la conquista inglese, sebbene Edoardo I (1272-1307) si mostrasse generoso nell’offrire aiuto per la loro ricostruzione. Il diffondersi di uno stato persistente di guerriglia e di anarchia, lungo il quindicesimo secolo, significò per la maggioranza delle case del Galles spopolamento e povertà, alle soglie di una dissoluzione quasi totale.

Nella Scozia, i Cistercensi divennero popolari, grazie al patrocinio del protettore di san Elredo, il Re David I (1124-115 3). Di fatto, la prima abbazia scozzese, Melrose, fu fondata nel 1136 da Rievaulx e capeggiata da un vecchio amico di gioventù di Elredo, san Wadelf, figliastro di re David, che era già stato canonico agostiniano e compagno di Elredo nel monastero a Rievaulx. Melrose divenne madre feconda di altre cinque nuove fondazioni e, con l’aiuto di monaci provenienti dall’Inghilterra, verso la fine del tredicesimo secolo la Scozia contava undici abbazie cistercensi.

La prima fondazione irlandese, Mellifont, (1142) situata a circa otto chilometri da Drogheda, fu il frutto della amicizia tra san Bernardo e san Malachia, arcivescovo di Armagh. Sebbene il primo gruppo di monaci fosse educato accuratamente a Clairvaux, le tradizioni del monachesimo celtico si rivelarono troppo radicate per essere sostituite dalle nuove osservanze. Nonostante questo contrattempo, la penetrazione rapida ed estesa dei Cistercensi in Irlanda fu più considerevole che altrove, tanto che alla fine il paese poteva gloriarsi di 43 abbazie, anche se un certo numero di esse erano piccoli monasteri, già di tradizione celtica. Quando nel 1171 iniziò la penetrazione inglese nell’isola, si aggiunse agli altri un nuovo insolubile problema; l’inimicizia implacabile tra le due razze condusse persino alla separazione, controllata, delle abbazie inglesi da quelle irlandesi, ciascun gruppo delle quali negava la possibilità di ammissione ai membri dell’altra nazionalità. Visitatori inglesi erano esclusi dalle abbazie irlandesi ed ogni mezzo di controllo da parte del Capitolo generale sulle case irlandesi si rivelò praticamente inutile. Già alla fine del secolo dodicesimo la situazione era critica. Nel 1228, l’abate Stefano Lexington di Salley, che aveva ricevuto l’incarico di sedare la “Cospirazione di Mellifont”, visitava il paese a rischio della propria vita. Non gli fu possibile trovare in Irlanda neppure le vestigia delle osservanze cistercensi: una condizione deplorevole che si rivelò più grave dell’estinzione del sedicesimo secolo. Due sole furono le eccezioni: le grandi abbazie di Mellifont e Santa Maria di Dublino.

La cronologia delle fondazioni cistercensi nella penisola iberica è spesso problematica. Secondo le ricerche storiche più recenti, la prima abbazia dell’Ordine non fu Moreruela che si credeva fondata verso il 1130, ma la casa di Fitero, che veniva favorita nel 1140 dal Re Alfonso VII di Castiglia e popolata dalla casa di Guascogna, l’Escale-Dieu; ci vollero comunque almeno 12 anni prima che i monaci si installassero nella località definitiva. La stessa abbazia francese era responsabile di altre cinque fondazioni in terra di Spagna: Monsalud (1141), Sacramenia (1142), Veruela (1146), La Oliva (1150) e Bugedo (1172), tutte della filiazione di Morimond. Clairvaux esercitò la sua influenza soprattutto attraverso le case francesi di Grandselve e Fontfroide, entrambe molto feconde nella propagazione dell’Ordine in Catalogna, sebbene da poco riacquistate dalla congregazione di Molesme. Fontfroide fondò la grande abbazia di Poblet (1150) che a sua volta divenne casa madre di altri quattro monasteri, uno dei quali fu La Palma, nell’isola di Mallorca (1236); nel 1150 Grandselve mandava del personale nell’illustre Santa Creus. Moreruela, menzionata sopra, apparteneva alla stessa filiazione, ma iniziò la sua esistenza solo nel 1158. Verso la fine del tredicesimo secolo la “marea” delle fondazioni cistercensi copriva anche la Spagna. Dato che a quel tempo la parte meridionale della penisola era o sotto il controllo di Molesme o era considerata insicura, quasi tutti i monasteri cistercensi erano collocati nella parte settentrionale della regione. Eccezioni furono San Bernardo e Valdigna, entrambe vicino a Valencia, e San Isidro a Siviglia, tutte fondazioni tarde. Il numero totale delle case spagnole fu di 58, e molte di esse erano state monasteri benedettini.

Nel Portogallo, la prima fondazione cistercense fu Alcobaça (1153) situata tra Lisbona e Coimbra e popolata da monaci che provenivano direttamente da Clairvaux. Alcobaça divenne una delle più grandi abbazie cistercensi in Europa e fu casa madre, di altri dodici monasteri in Portogallo.

Le prime case cistercensi in Svezia e Danimarca furono installate grazie agli sforzi dell’Arcivescovo Eskil di Lund, un amico di san Bernardo, che terminò la sua vita a Clairvaux (1181), e del suo successore nella sede vescovile di Lund, Absalon. La abbazia di Alvastra, in Svezia, vicina al lago Vättern, fu aperta nel 1143 direttamente da Clairvaux e divenne uno dei più famosi santuari cistercensi del paese: luogo di sepoltura della famiglia reale degli Sverker, e dove santa Brigida ricevette le sue visioni, casa madre di altri tre monasteri nello stesso paese. Un’altra grande abbazia in Svezia fu Nydala, anch’essa fondazione di Clairvaux, sempre nel 1143, ma sostenuta dall’appoggio del Vescovo Gislon di Linköping.

La abbazia di Herisvad (Herrevad), nell’estremità della punta meridionale della Svezia che nel dodicesimo secolo apparteneva alla Danimarca, fu altro frutto dell’ammirazione che l’arcivescovo Eskil aveva per i Cistercensi. Venne aperta nel 1144 dai monaci di Cîteaux. La più feconda casa danese dell’Ordine si dimostrò Esrom, che era già stata abbazia benedettina, e che venne incorporata alla famiglia di Clairvaux nel 1153, con la benedizione e l’auspicio dello stesso arcivescovo Eskil. A sua volta, Esrom divenne veicolo per l’assunzione nell’Ordine di un’altra abbazia benedettina, Sor, situata vicino a Copenhagen (1161). Gudvala (Roma) sull’isola di Gotland, fu l’unica casa figlia di Nydala (1164). All’interno degli attuali confini politici, la Svezia possedeva in tutto otto case cistercensi: la Danimarca ne aveva undici, sei delle quali erano state anteriormente comunità benedettine.

La Norvegia medioevale, scarsamente popolata, contava solo tre monasteri cistercensi. Il primo, Lyse Kloster vicino a Bergen, fu fondato nel 1146 dai monaci inglesi di Fountains. Hoved, costruito in una piccola isola nella Baia di Oslo, venne aperto nello stesso anno, sempre da parte di monaci cistercensi inglesi, che provenivano, questa volta, da Kirkstead. L’abbazia cistercense situata più al Nord in tutta Europa, fu Tutter (Tautra), in un’isola nel Fiordo di Trondheim, costruita nel 1207 come figlia di Lyse.

La Boemia faceva parte dell’impero della Germania e le sue prime tre fondazioni cistercensi, Sedletz (1143), Plass (1145) e Nepomuk (1145) furono realizzate tutte da monaci tedeschi e situate nella diocesi di Praga; tutte appartenevano alla filiazione di Morimond. Quattro fondazioni più tardive, Ossegg (1192), Hohenfurt (1259), Goldenkron (1263) e Königsaal (1292) godettero alla fine di una prosperità e di una fama superiore. Il numero totale delle abbazie nel regno, incluse quelle della Moravia, erano tredici; in quest’ultima provincia, l’abbazia più famosa fu quella di Welehrad (1205) nella diocesi di Olmütz.

Entro i confini storici della Polonia, c’erano in totale venticinque abbazie, venti delle quali erano direttamente o indirettamente affiliate a Morimond. Soltanto nove, tuttavia, vennero fondate nel corso del dodicesimo secolo; le altre furono erette in un tempo in cui lo sviluppo dell’Ordine era considerevolmente diminuito nell’Europa Occidentale. Le abbazie polacche che appartenevano a quest’ultima categoria raggiunsero il momento più alto della loro espansione solo nel quattordicesimo secolo, un’epoca in cui il resto dell’Occidente sperimentava il movimento inverso. Ma in Polonia il numero dei monaci, e soprattutto dei fratelli conversi, rimase sempre relativamente modesto e in molti casi le abbazie fondate direttamente dalla Francia o dalla Germania continuarono a reclutare all’estero i loro monaci. Sulejow, per esempio, aperta nel 1179 direttamente da Morimond, conservò le sue caratteristiche tipicamente francesi lungo tutto il corso del Medioevo; allo stesso modo, Lad, Lekno e Obra, tutte case figlie dell’abbazia tedesca di Altenberg vicino a Colonia, furono abitate per secoli da monaci provenienti da Colonia. Secondo le indicazioni più attendibili, al di sotto di questo strano fenomeno non è riscontrabile una politica nazionalistica della colonizzazione tedesca;, la risposta può essere scoperta piuttosto nella struttura della stessa società polacca. I principi e i vescovi erano altrettanto generosi verso i cistercensi che i loro benefattori dell’Occidente, ma nell’Europa Orientale il reclutamento delle vocazioni era più difficile. Secondo le leggi polacche inerenti alla successione dei beni, tutti i figli di una casata avevano parte ai beni familiari; perciò i giovani non sentivano una attrazione particolare per entrare negli ordini monastici. Il campo più fecondo delle vocazioni in Occidente proveniva dalla borghesia o altre classi professionali, le quali ancora erano assenti nei paesi slavi; per i fratelli laici, l’Ordine in Occidente si poggiava soprattutto sui contadini liberi, che tenevano in affitto terre altrui; invece nella Europa dell’Est coloro che coltivavano la terra erano servi della gleba ancora schiavi e legati alla terra, e non potevano in genere diventare fratelli. D’altronde, la scarsità di fratelli conversi costrinse le case cistercensi dell’Est ad abbandonare l’idea di una coltivazione diretta delle terre accettando in cambio servi o contadini, cosa che aprì la via a estensioni terriere illimitate, che non avevano paragone in Occidente.

Una situazione analoga era forse la ragione principale dei modesto successo dei Cistercensi in Ungheria. Il primo tentativo realizzato da Heiligenkreuz per introdurre l’Ordine in quel paese a Cikador nel 1142, si dimostrò poco efficace. Più promettente fu l’iniziativa del Re Bela III(11.76-1196), la cui seconda moglie, Margaret, era sorella del Re Filippo Augusto Il di Francia. Questi legami fecero sì che un certo numero di monaci francesi penetrassero nel paese e seguissero quindi le fondazioni di Egres (1179) ad opera di Pontigny, Zirc: (1182) ad opera di Clairvaux, Pilis (1184) ad opera di Acey, San Gottardo (1184) ad opera di Trois-Fontaines, Pàsztò (1190) ad opera di Pilis, e Kerc (1202) ad opera di Egres. Kerc, situato nella lontana Transylvania, segnava il punto più lontano della estensione dell’Ordine nell’Europa Orientale. Alla fine, il numero totale delle case cistercensi in Ungheria fu di una ventina, e di esse tre erano state un tempo abbazie benedettine. Disgraziatamente, l’invasione dei Tartari nel paese (1241-1242) apportò delle distruzioni in quelle istituzioni già abbastanza deboli e in seguito alla mancanza di sufficienti vocazioni locali, l’Ordine continuò a languire, in Ungheria, lungo tutto il resto del Medioevo.

Il Padre Leopoldo Janauschek, nel suo repertorio, ancora indispensabile, delle fondazioni cistercensi collocate in ordine cronologico, identificava, fino al 1675, 742 monasteri maschili. Tuttavia è doveroso notare che in qualsiasi momento storico, il totale delle abbazie che esistevano, contemporaneamente, fu sempre considerevolmente inferiore a quella cifra. Molte fondazioni, ad esempio quelle realizzate negli stati crociati e nell’Impero Latino, si dimostrarono effimere; altre furono soppresse o integrate con altre comunità esistenti. In verità l’affermazione che tutte le abbazie dell’ordine nel dodicesimo secolo avessero un numero sovrabbondante di monaci, è certamente errata. All’ombra di abbazie gigantesche quali Clairvaux, Les Dunes, Fountains o Rievaulx, c’erano numerosi insediamenti secondari, e il Capitolo generale del 1189 tenne a sottolineare che ogni casa doveva avere almeno 12 monaci sotto la conduzione di un abate; in caso contrario avrebbero dovuto essere ridotte o a una fattoria o essere chiuse del tutto. Nel 1190 il Capitolo ordinò all’abate di Jouy di visitare l’abbazia di Bonlieu nella diocesi di Bordeaux, e lo autorizzò a chiudere quel monastero se egli non fosse stato in grado di assicurare la presenza di almeno dodici monaci, che vi potessero vivere la vita regolare. Nel 1191 venne decisa la stessa cosa per San Sebastiano a Roma e Lad in Polonia. Nel 1199 si riferì al Capitolo generale che oltre a San Sebastiano, altre quattro case Italiane (Falleri, San Giusto, San Martino del Monte, Sala) avevano un numero troppo scarso di monaci. Un po’ più tardi (1232) Roccamadore, in Sicilia, fu aggiunta alla stessa lista. Nonostante misure adeguate, il Capitolo del 1204 deplorava ancora che Il ci fossero abbazie nell’Ordine che davano grave scandalo a causa della deficienza e dello scarso numero di personale”. La minaccia di soppressione divenne dato di fatto nel 1216, quando ad esempio il Capitolo generale decise di ridurre San Vincenzo nell’Asturia a una fattoria perché “quella casa era talmente povera che poteva appena provvedere alla sopravvivenza di due soli monaci”.

È estremamente raro trovare nel corso del dodicesimo secolo dei dati degni di fiducia sul numero dei membri in un determinato monastero. Da una parte, resta vero che il susseguirsi rapido delle nuove fondazioni non si può spiegare senza un numero sovrabbondante di monaci in molte delle grandi abbazie dell’Ordine; ma, dall’altra, alcune cifre tradizionali sembrano molto esagerate. Si credeva in genere che sotto san Bernardo Clairvaux, e perfino Bellevaux, contassero 500 monaci; Grandselve fino a 800; Rievaulx sotto san Elredo 600 o anche più. Numeri un po’ più piccoli, ma sempre sulle centinaia, sono stati spesso citati più volte senza che si avesse una documentazione sufficiente. Ugualmente problematico è chiarire la proporzione corrispondente tra monaci di coro e conversi. Così, secondo dati credibili, i fratelli conversi in genere superavano il numero dei monaci di coro, così che una abbazia Il media” lungo il corso del dodicesimo secolo contava probabilmente quindici monaci e una ventina di fratelli conversi. Se ciò è vero, si potrebbero trarre dei totali approssimativi sul numero dei monaci cistercensi. Perciò nel 1151, quando il numero delle fondazioni cistercensi era di 333, il totale dei monaci avrebbe dovuto superare il numero di 11.600 membri. Un secolo dopo, le 647 abbazie dell’Ordine avrebbero raggiunto ben più di 20.000 monaci, compresi i conversi; una cifra che certamente cominciò a declinare ben presto a causa della diminuzione continua delle vocazioni dei fratelli conversi. Per una valutazione esatta di queste statistiche, bisogna considerare queste cifre sullo sfondo dei totali della popolazione del secolo dodicesimo e tredicesimo, probabilmente inferiori al dieci per cento del livello attuale.

Il gran numero delle fondazioni cistercensi, che si sviluppavano con tanta rapidità, è la prova del richiamo universale che esercitavano gli ideali della vita cistercense su tutta la società contemporanea; fra le vocazioni, una percentuale sorprendentemente alta proveniva già dall’élite della classe degli intellettuali. Durante i primi anni dell’abbazia di Clairvaux, la famosa scuola di Châlons fu quasi interamente svuotata per il fatto che gli studenti insieme ai loro professori seguivano il fascino del giovane Bernardo. La stessa cosa succedeva spesso, dovunque capitava che l’abate dovesse predicare, soprattutto a Reims, Liegi e Parigi. Secondo Ernaldo, uno dei primi biografi del santo, Clairvaux era il monastero in cui “uomini di cultura, maestri di retorica e di filosofia nelle scuole di questo mondo, studiavano la teoria delle divine virtù”. La ragione per cui la prima generazione della Scolastica preferiva i Cistercensi non può essere attribuita esclusivamente e primariamente alla sola personalità così affascinante di san Bernardo, dato che molte vocazioni sceglievano di condurre vita monastica in monasteri diversi da Clairvaux. Il fattore decisivo nella vocazione di questi intellettuali dovette consistere nel richiamo che emanava per essi la spiritualità cistercense.

Quale sarebbe stato il destino di Cîteaux senza la presenza di san Bernardo, è certo volersi porre una domanda inutile. La sua personale influenza sull’evoluzione dell’Ordine fu evidentemente di grandissima importanza. Senza alcun dubbio, il programma dei fondatori di Cîteaux era meramente contemplativo, animato da uno zelo ammirevole per un ascetismo di tipo eroico. Il giovane Bernardo abbracciò di tutto cuore e fino in fondo la vita di Cîteaux, così come era, e, sotto la guida del suo abate, santo Stefano, divenne egli stesso uno dei più grandi contemplativi di tutti i tempi. Tuttavia, egli era un genio realmente unico nel suo genere ed universale nella sua vocazione, dotato di una missione di governo provvidenziale. Era impossibile per lui restare a lungo nascosto all’interno delle mura di Clairvaux; ma perfino negli anni della sua più febbrile attività pubblica, egli rimase sostanzialmente lo stesso monaco cistercense, asceta e contemplativo. Quanto più cresceva la sua fede negli ideali di Cîteaux, con tanta maggior dedizione si prodigava per diffonderne l’influenza. Egli non nascose mai la sua convinzione ben radicata che la regola cistercense era il modo più sicuro per garantire la salvezza della propria anima, e non esitò mai ad accettare chiunque a Clairvaux, sia che fosse un criminale pubblico o un principe della casa reale, un monaco fuggiasco o un vescovo. Lo sviluppo prodigioso dell’Ordine durante la prima metà del dodicesimo secolo sarebbe stato impossibile senza san Bernardo ed egli fu inevitabilmente, sebbene inconsapevolmente e suo malgrado, responsabile in grande misura delle conseguenze dì questo fatto.

Bisogna attribuire a questa straordinaria crescita un inevitabile conflitto tra qualità e quantità. Se da una parte si constatò che il dodicesimo secolo fu un’epoca storica eccezionalmente adatta per promuovere e incoraggiare vocazioni contemplative, resta vero che la contemplazione, per la sua stessa natura, non può mai essere fenomeno di massa. È perciò del tutto improbabile che quelle centinaia di fondazioni accogliessero sempre e soltanto autentiche vocazioni contemplative. Citiamo ancora Orderico Vitale: la povertà volontaria e una autentica religiosità ispirava molti di essi, ma numerosi ipocriti e possibili contraffattori vivevano con loro, come la pula con il grano”. Il problema divenne ancora più acuto quando l’Ordine raggiunse la sua massima espansione: ben presto uno spirito di mondanità sempre crescente, – si avvicinava il Rinascimento – fece calare sensibilmente il numero delle vocazioni monastiche. Nel medesimo tempo, gli ingranaggi ben strutturati del Capitolo generale funzionavano con serietà. I visitatori riferivano anno dopo anno le benché minime deviazioni dalla disciplina comune, e i colpevoli ricevevano sempre delle punizioni severe. Ma il Capitolo generale lottava disperatamente contro i soli sintomi ed era, ovviamente, incapace di controllare le vere cause del problema, cioè il mutamento della mentalità europea. L’Ordine era infatti un corpo troppo grande ed esteso per resistere con efficacia alle folate di una tempesta devastatrice.

D’altra parte, è sorprendente come i Padri Capitolari fossero consapevoli dei pericoli che si nascondevano in una espansione così spettacolare. Lungi dal lasciarsi abbagliare dal proprio successo, essi procedettero con una sempre maggiore cautela in materia di nuove fondazioni o incorporazioni all’Ordine dei monasteri già esistenti. Le generazioni cistercensi successive, troppo riverenti verso la immagine ideale che nutrivano per le origini dell’Ordine, abolirono con molta cura le tracce di dissenso fra i membri del Capitolo generale in quegli anni gloriosi. Tuttavia, sono rimasti alcuni indizi sul fatto che in materia di fondazioni troppo affrettate, le posizioni degli abati erano lontane dall’essere unanimi. È difficile credere, infatti, che l’unica ragione per le dimissioni di Stefano Harding nel 1133 fosse la sua età avanzata. Altri motivi si celavano senz’altro dietro le quinte, dato che la sua scomparsa causò una seria crisi. Il suo immediato successore abate di Cîteaux, Guido, che era già stato abate di Trois-Fontaines fu deposto poco dopo la sua elezione ed il suo nome venne perfino cancellato dall’elenco degli abati senza che ne venisse indicata la ragione. Dopo questi eventi, Rainaldo, un monaco di Clairvaux ed amico intimo di san Bernardo, assunse il ruolo di guida centrale dell’Ordine. Il suo periodo di governo coincise con il momento di massima espansione. Quando egli mori nel 1150, Goswin, abate di Bonnevaux, abbazia figlia di Cîteaux, gli successe in questa importante carica. Il Capitolo generale immediatamente capovolse le proprie posizioni nei confronti della politica seguita fino allora e nel 1152 proibì categoricamente la fondazione o l’incorporazione di altre case, per il futuro. Questi fatti, evidentemente, non permettono di affermare conclusioni sicure e di portata più vasta, ma documentano a sufficienza che il problema annesso a uno sviluppo rapido era ben in luce. La decisione del Capitolo rovesciava le sante e tanto caramente abbracciate ambizioni di Bernardo, che in quel momento giaceva irrimediabilmente infermo a Clairvaux, dove sarebbe morto l’anno successivo. Inutile dire che la proibizione di fare altre fondazioni restò lettera morta. Giunto al punto più alto della sua popolarità, l’espansione dell’Ordine non poteva essere stroncata ad un tratto, sebbene il ritmo della crescita si ridusse notevolmente.

Conseguenza naturale e inevitabile della diffusione su larga scala fu il crescente prestigio, il diffuso potere e la larga attività dell’Ordine nella vita pubblica della Chiesa. Bernardo fu il primo a rispondere alle gravi necessità della Chiesa ed egli, il grande contemplativo, dovette giocare un ruolo senza confronti nella conduzione della politica europea, e ciò per una trentina d anni. Il suo esempio costituì una sfida irresistibile per le future generazioni cistercensi, tanto più che sia le più alte autorità della Chiesa che quelle secolari attendevano con piena speranza che l’Ordine, con la sua immensa forza morale, continuasse a restare al loro servizio, diffondendo pace, giustizia ed ordine fra le nazioni cristiane. Il compito di “addetti alla riparazione della Chiesa” era senza meno ben lontano dagli ideali dei fondatori di Cîteaux, che avevano pensato a una vita di silenzio assoluto nella separazione più totale dagli affari del mondo. Tuttavia, rifiutare una tale sfida e ritirarsi nuovamente nella solitudine, era altrettanto impossibile quanto ridurre il numero delle abbazie cistercensi in proporzione alla diminuzione delle vocazioni.

L’incorporazione di monasteri già esistenti, soprattutto della intera congregazione di Savigny, pose dei seri problemi di natura economica e disciplinare. Il rifiuto delle rendite feudali era senz’altro una delle caratteristiche fondamentali della vita cistercense. Eppure, tutte le abbazie che erano state un tempo sotto la giurisdizione di Savigny furono ammesse nell’Ordine senza il previo obbligo di liberarsi dalle loro chiese, titoli, servi ed altre simili fonti di guadagno. Queste concessioni incoraggiarono altre comunità ad assumere titoli di proprietà che fino allora erano stati proibiti. Nel 1169 l’abuso si era diffuso a tal punto che il papa Alessandro III indirizzò una bolla con espressioni abbastanza veementi per richiamare l’attenzione dell’Ordine sulle allarmanti deviazioni dalle “istituzioni sante” dei Padri Fondatori. Si può supporre difficilmente che san Bernardo, che era in gran parte responsabile della fusione della congregazione di Savigny, non fosse cosciente delle differenze tra i princìpi economici delle abbazie appena ammesse e quelli delle fondazioni vere e proprie di Cîteaux; neppure è ammissibile supporre che egli non potesse rendersi conto delle conseguenze latenti in concessioni così grandi, fatte in rapporto alle altre case dell’Ordine. Perché allora egli promosse l’unione? La sola risposta logica è che a suo giudizio i benefici spirituali della concessione avrebbero largamente superato gli inconvenienti del compromesso. Ma non sarebbe neppure giusto imputare soltanto al santo le conseguenze che ne derivarono. Il Capitolo generale assunse lo stesso atteggiamento indulgente anche dopo la sua morte; la considerazione dei bisogni locali aveva grande spazio nel giudizio dei Padri capitolari. Princìpi precostituiti e adesione rigida ad una posizione intransigente, senza possibilità di eccezioni, erano molto lontani dalla primitiva mentalità cistercense.

L’efficacia del Capitolo generale fu realmente indebolita, e molto, a causa della enorme espansione territoriale dell’Ordine. Si supponeva che il Capitolo generale annuale riunisse tutti gli abati dell’Ordine. I regolamenti più antichi prevedevano un caso solo di assenza legittima: la malattia. Ma la rapida espansione geografica, tuttavia, rese molto difficile una partecipazione regolare, se non addirittura impossibile per gli abati delle terre più lontane. A causa delle grandi distanze, delle ingenti spese e dei pericoli di viaggio, furono presto concesse delle dispense. Così, ad esempio, gli abati delle case della Siria dovevano partecipare al Capitolo solo ogni sette anni ed altri godettero di concessioni simili, in proporzione alla distanza della loro casa da Cîteaux. Non possediamo le percentuali del numero dei partecipanti al Capitolo generale e delle sue decisioni per il dodicesimo e tredicesimo secolo. Si può dedurre, comunque, dalle costanti dichiarazioni sulle assenze ingiustificate che le grandi difficoltà di viaggio costituivano impedimenti molto gravi per non partecipare alle riunioni. In ogni caso, le possibilità offerte da Cîteaux per la sistemazione dei membri del Capitolo erano molto modeste. Fin dopo il completamento del chiostro gotico del 1193 (Cîteaux III) la sala regolare delle riunioni, la sala capitolare, era una stanza di 17 m. per 18, con una doppia o forse triplice fila di banchi attorno al muro. Si ritiene che vi stessero circa trecento persone, ma è molto dubbio che la sala fosse sempre così ben stipata. Si può presumere in modo più realistico che le sessioni fossero frequentate da circa un terzo degli abati (250).

In quale modo si notificavano agli abati assenti le decisioni del Capitolo generale? I documenti del dodicesimo secolo non danno dati sulla registrazione in archivio dei documenti o sulla promulgazione degli statuti. Fin verso il 1180 i manoscritti esistenti non dicono nulla sullo svolgimento delle sessioni; probabilmente non si prendevano verbali delle consultazioni e le decisioni del Capitolo, quando venivano prese, erano trasmesse soltanto oralmente. Il problema si complicò a causa del continuo cambiamento dei partecipanti, anno dopo anno; così gran parte degli abati presenti a un dato momento non era al corrente delle discussioni dell’anno precedente. Ne risultò frequentemente la stesura di regolamenti contraddittori o incoerenti, che condussero a una certa confusione o a un atteggiamento scettico nei confronti della validità dei singoli statuti. La ragione per cui vennero ripetute tutti gli anni delle decisioni importanti, non sta nel fatto di una inadempienza deliberata; si voleva soltanto renderle note in modo adeguato a tutti gli abati.

La visita regolare annuale dei monasteri da parte dell’abate-padre veniva in certa misura resa difficile o ostacolata a causa delle fatiche del viaggio ed anche del numero eccessivo di visite che alcuni abati di numerose filiazioni erano tenuti a fare. Cîteaux aveva 24 case affiliate direttamente; Pontigny 16, Morimond 27 e Clairvaux più di 80. Era chiaramente impossibile fare delle visite regolari ad un tal numero di case-figlie; quindi gli abati che si trovavano in simili posizioni erano costretti o a delegare i loro poteri oppure a ritardare le visite regolari; ma sia nell’uno che nell’altro caso una effettiva revisione delle abbazie dipendenti ne risultava compromessa.

La crescita così straordinaria dell’Ordine Cistercense, durante la vita di san Bernardo, che passò da una piccola comunità di monaci eremiti a una rete internazionale di centinaia di abbazie, non può essere spiegata soltanto da considerazioni di mero carattere naturale, storico o altro. Neppure la genialità dell’abate di Clairvaux può spiegare adeguatamente questo fenomeno, unico nel suo genere, e specificamente religioso. Forse il segreto si trova nell’eco così vasta e spontanea che la spiritualità di Cîteaux seppe evocare nei membri di quella generazione, che risultava loro congeniale; una spiritualità che serviva da esempio sia per i ricchi che per i poveri, per gli eruditi e gli illetterati e che si incarnava nell’austera e contemplativa vita dei Monaci Bianchi.

Ma il compito di portare avanti una tanto esaltata eredità si rivelò onere troppo gravoso. Il gran momento di espansione doveva necessariamente dissolversi; Bernardo e i suoi eroici compagni non potevano essere sostituiti da uomini di ugual calibro. Intanto, l’ambiente religioso e sociale, in continua mutazione, poneva interrogativi nuovi e sollecitava soluzioni adeguate. La storia successiva dell’Ordine dimostra in maniera convincente quanti seri sforzi venissero fatti per assicurare un alto livello di disciplina monastica e per sostenere la sfida di nuove pesanti responsabilità. I tentativi continui di mantenere l’Ordine al passo di un mondo in accelerata mutazione, tuttavia, richiese spesso dei compromessi che furono a discapito delle genuine tradizioni cistercensi.

Bibliografia

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L.J. Lekai, I Cistercensi. Ideali e realtà, IV, Certosa di Pavia, 1989.

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